"La nostra costituzione nasce per superare, per espellere, l'odio, come misura dei rapporti umani. Quell'odio che, la civiltà umana, ci chiede di sconfiggere nelle relazioni tra le persone; sanzionandone, severamente, i comportamenti, creando, così, le basi delle regole della nostra convivenza". Con queste parole il Presidente Mattarella al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini ha denunciato la campagna ideologica xenofoba che anima la politica della costruzione dei muri e dei respingimenti e, nel contempo, auspicato che in ambito Ue ci sia “un impegno, finalmente concreto e costante, dell'Unione europea" per sostenere i "Paesi di origine dei flussi migratori".
Un richiamo, dunque, al buon senso nella consapevolezza che il tema delle migrazioni va affrontato privilegiando il solo codice su cui si fonda la società civile e il futuro di una umanità oggi sempre più evaporata nei suoi valori culturali. Sconvolge il pensare che secoli di civiltà vengano ridotti a brandelli, brutalizzati dalla arroganza di una oracolarità spettacolarizzata. Una oracolarità di quella politica fondata sul dogma della tutela del proprio territorio contro le supposte “ibridazioni” provenienti da altre culture. Eppure basterebbe sbobinare il proprio albero genealogico per scoprire che ciascuno di noi – cives – ha avi provenienti da altre aree di pianeta semplicemente perché il nomadismo è un fenomeno naturale nella storia umana.
Nessuno oggi come ieri vorrebbe mai lasciare la terra in cui è nato se non fossero le condizioni di necessità a imporre di mettersi in cammino, rischiando di non condurre a termine il viaggio per i pericoli in agguato, verso condizioni di vita migliori o semplici possibilità di sopravvivenza. Chi mai affiderebbe al propria vita e quella dei propri cari a un fatiscente barcone pronto a salpare anche con un mare procelloso, se non affidandosi alla sorte dello spiraglio della liberazione da fame, guerra, negazione di ogni diritto e di possibilità di futuro?
Eppure ogni arrivo di migranti sulle coste italiane suscita nei meandri della sottocultura il consueto vespaio di ostracismo atto a sconfinare nella pletorica ostilità: Un paradosso ebbro di luoghi comuni banalmente impregnati di logica parolaia. E' grave. Ma è ancora più grave e inaccettabile che un siffatto dogmatismo sia elucubrato da chi rappresenta il Paese che da sempre è terra di migrazioni interne e culla di altre civiltà. Che l’accoglienza rappresenta una risorsa sia per chi accoglie che per chi è accolto lo si comprendeva ai primordi del popolamento della penisola.
Questa condizione identitaria è ancora oggi evidente anche nell’etimo: la parola ospite deriva dal latino hospes, -ĭtis, lemma dal doppio significato di 'colui che ospita (e quindi albergatore)' e di 'colui che è ospitato (e quindi forestiero)', significato – presente anche nella parola greca ξένος, xènos (xènion o (più spesso) xènia, erano i doni all'ospite – straniero – in genere inviati nelle stanze messe loro a disposizione dal signore della casa che accoglieva chiunque si fosse presentato a chiedere ospitalità) –tramandato in quasi tutte le lingue romanze. Hospes è condizione diversa da hostis (nemico).
E allora mi permetto di ricordare che le migrazioni appartengono alla storia dell’umanità. Le migrazioni appartengono alla storia dell’umanità italiana, mi permetto sommessamente di aggiungere. Una storia cominciata a fine Ottocento, quando contadini e montanari senza terra, manovali, artigiani e operai disoccupati, uomini, donne e bambini in massima parte analfabeti partivano per andare oltre frontiera. Inizialmente verso Svizzera, Austria, Germania, Francia e , successivamente, al Nord, Centro e Sud America, in Canada, Australia, Africa, Asia e Nuova Zelanda.
I trattati bilaterali stipulati tra le nazioni consentivano regolari assunzioni lavorative, ricongiungimenti familiari, congedi, assistenza sanitaria e diritti civili. Il grande esodo, che comprendeva anche irregolari e clandestini, si concluse negli anni Settanta, quando iniziarono per la prima volta i rimpatri in massa degli emigranti, pur non senza problemi.
Quali erano le condizioni di partenza dei nostri connazionali? Basta guardare i molti profughi che approdano alle patrie sponde per avere una "presa diretta" del loro stato. Erano in gran numero analfabeti, affamati, senza competenze, alcuni affetti da malattie, e sicuramente puzzavano (chi si dirigeva oltre Oceano viaggiava nelle stive di navi negriere già utilizzate per il commercio degli schiavi). In Europa, e soprattutto negli Stati Uniti, Canada e Australia, gli italiani trovarono opportunità di lavoro e di crescita sociale, facendosi apprezzare in ogni campo, anche politico, pur dopo un iniziale periodo di diffidenza e di rifiuto da parte della popolazione locale.
Come in ogni società alcuni sono stati portatori di morte, altri (la stragrande maggioranza) si sono integrati, hanno ottenuto riconoscimenti in tutti i settori, hanno portato nel paese di accoglienza tutte le proprie capacità di migliorarsi senza rinnegare le radici culturali d’origine, che hanno trasmesso ai figli.
È così che si diventa cittadini del mondo. Di un mondo umano.
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2023-08-28 16:10:40
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