Sono tanti i temi trattati tra cui la cosiddetta «Legge bavaglio», la limitazione all’uso delle intercettazioni, la limitazione dei procuratori di parlare con la stampa. Ma anche la mancanza di separazione dei poteri in Ungheria, la politicizzazione della magistratura e il punto sulle trattative Stato-mafia.
è questa l’anticipazione che viene data.
Inoltre è stato presentato il nuovo libro-intervista scritto con il giornalista Saverio Lodato “Il colpo di spugna. Trattativa Stato-mafia il processo che non si doveva fare”, edito Fuoriscena-Libri Rcs.
In primis si è parlato del ricordo a Pippo Fava:
“Il ricordo di Giuseppe Fava mi emoziona anche da un punto di vista personale. Io ero un giovane studente universitario di giurisprudenza e e ho iniziato ad alimentare la mia passione per l’antimafia e per la magistratura.
Il mio sogno di diventare magistrato è arrivato anche leggendo quella splendida rivista il mensile ‘I Siciliani’ che Giuseppe Fava dirigeva. Ricordo le sue inchieste giornalistiche, quelle sui Cavalieri del lavoro di Catania, quella sui rapporti tra la mafia dei corleonesi e pezzi importanti della Dc siciliana, quella dei rapporti di contiguità tra una parte di magistratura e la mafia.
Era un giornalismo d’inchiesta che anticipava le inchieste della magistratura e io credo che oggi, questo Paese ha un disperato bisogno di questo giornalismo d’inchiesta e questo tipo di giornalismo e quindi quando sento, vedo e leggo di limitazioni, bavagli e limitazioni al diritto d’informazione sono molto proccupato da tutti i punti di vista.”
Poi, parlando della sentenza di Cassazione della Trattativa Stato-Mafia ha affermato:
“Le sentenze della magistratura devono essere sempre rispettate, ma possono essere criticate. Anche quella della Cassazione, che non possiedono il crisma dell’infallibilità. Il vaglio critico deve essere tanto più intenso quando, come in questo caso, la Cassazione, con poche, pochissime pagine di motivazione, entra pesantemente nel fatto, nella valutazione del fatto e disattende quelle che erano state le conclusioni sancite complessivamente in 10.000 pagine di motivazioni dei giudici di primo e secondo grado. Nelle prime due sentenze i giudici mai avevano messo in discussione che si erano determinati fatti. Un dialogo a distanza tra una parte delle istituzioni e la parte cosiddetta moderata di cosa nostra.
Nelle sentenze c’era scritto che questo dialogo costituiva un’alleanza con un nemico, Provenzano, per sconfiggerne un altro ritenuto più pericoloso, Riina. Nelle sentenze, perfino in quella assolutoria degli ufficiali dei Carabinieri, c’era scritto che la mancata perquisizione del covo di Riina era stato un segnale di distensione verso l’ala trattativista di Cosa Nostra.
Nelle sentenze c’era scritto che Provenzano era stato protetto a lungo nella sua latitanza da esponenti delle istituzioni. La minaccia è un reato di pericolo. Non è necessario che si verifichi l’evento che i minaccianti vogliono che si verifichi, è sufficiente che il governo e le istituzioni abbiano percepito quella minaccia. Come fa a dire la Cassazione, ma lo dice, che questo non è avvenuto?
Tutti i vertici delle istituzioni sapevano e avevano perfettamente chiaro il fatto che le bombe, quelle del 1993, erano il frutto di un ricatto mafioso, di un ‘out-out’ nei confronti dello Stato, per alleggerire, ad esempio, il carcere duro. Ho fatto il mio dovere con la consapevolezza di avere comunque fatto emergere dei fatti storici che il Paese deve conoscere. La sentenza della Cassazione non riuscirà ad eliminare nella loro oggettiva esistenza.”.
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immagine di copertina di Paolo Bassani
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– L’INTERVISTA ESCLUSIVA AL MAGISTRATO NINO DI MATTEO
«Credo che l’opinione pubblica abbia non soltanto il diritto ma, oserei dire, il dovere di essere informata sui processi che sono stati celebrati e che non vengono raccontati dalla grande stampa. L’opinione pubblica deve essere informata e chi ha un ruolo all’interno dello Stato, della magistratura e delle forze di polizia, ha il dovere di non fermarsi.»
Nino Di Matteo
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