Federica Tourn – Don Giuseppe Rugolo condannato a 4 anni e 6 mesi
Don Giuseppe Rugolo è stato condannato a quattro anni e sei mesi per violenza sessuale ex articolo 609 bis e quater del codice penale (quindi su minori di 16 anni) e tentata violenza sessuale, con interdizione per cinque anni dai pubblici uffici e interdizione perpetua dall’insegnamento nella scuola di ogni ordine e grado. La curia vescovile della diocesi di Piazza Armerina è stata riconosciuta responsabile civile e dovrà rispondere in solido con il sacerdote del risarcimento delle parti civili. Prescritti invece i fatti avvenuti prima del maggio 2011. Si è concluso così il 5 marzo il processo di primo grado al sacerdote di Enna, 42 anni, chiamato a rispondere di violenza aggravata su minori secondo gli articoli 81 e 609 del codice penale. Il prete di Enna era stato arrestato il 27 aprile 2021 dopo la denuncia di Antonio Messina, sedicenne all’epoca degli fatti; nel corso delle indagini erano poi emerse anche altre due vittime minorenni. Il tribunale, composto dal presidente Francesco Pitarresi e dai giudici a latere Elisa D’Aveni e Maria Rosaria Santoni ha emesso il verdetto dopo otto ore di camera di consiglio. Una sentenza che arriva dopo 22 udienze a porte chiuse e 53 testimoni sentiti. Il procedimento si era aperto il 7 ottobre 2021 davanti al tribunale di Enna ( come abbiamo raccontato qui:); Messina, oggi trentenne, aveva raccontato agli inquirenti di essere stato abusato da Rugolo per quattro anni, dal 2009 al 2013.
«Questa è una sentenza importante perché non solo è stata riconosciuta la responsabilità penale del sacerdote, ma è stato anche messo in luce un metodo abusante sostenuto dall’ambiente ecclesiastico locale», ha dichiarato Eleanna Parasiliti Molica, avvocata di Antonio Messina. «Sono soddisfatto per il risultato – ha commentato Messina – la condanna è un passo importate perché riconosce la presenza di abusi, anche se è chiaro che per me non ci sono stati tentativi di condizionamento nel corso del processo». Gli avvocati di Giuseppe Rugolo, Antonino Lizio e Dennis Lovison, non hanno rilasciato commenti.
Il 24 dicembre 2018 Antonio Messina aveva denunciato i fatti anche al vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana che, all’inizio del 2019, aveva disposto l’investigatio previa sul sacerdote. L’indagine ecclesiastica si era però conclusa in un niente di fatto, perché l’allora Congregazione per la dottrina della fede, il dicastero preposto a decidere dei casi di abuso sessuale su minori, aveva stabilito di non essere competente perché Rugolo era ancora un seminarista all’epoca dei primi approcci con il ragazzo. Gli altri abusi, secondo quanto sostenuto dai giudici ecclesiastici, risalivano a quando Antonio era ormai maggiorenne e Rugolo non ancora sacerdote, e quindi non rientravano nei casi di competenza del diritto canonico.
Certo è che, secondo le intercettazioni agli atti, il vescovo Gisana era al corrente delle violenze subite da Messina sin dall’agosto 2016, quando don Giuseppe Fausciana, parroco della chiesa di Sant’Anna a Enna, gli aveva riferito le confidenze ricevute dal ragazzo. A giugno 2017 sono i genitori di Antonio Messina ad andare per la prima volta dal vescovo a raccontare gli abusi subiti dal figlio, ma monsignor Gisana prende tempo, dicendo che si occuperà lui della faccenda. Passa ancora più di un anno prima che il vescovo incontri Antonio Messina, a ottobre 2018; don Rugolo, nel frattempo, viene nominato parroco della chiesa di San Cataldo. Il vescovo, dopo aver parlato con Antonio, da un lato avvia l’indagine ecclesiastica, dall’altro offre alla famiglia del ragazzo 25 mila euro (che avrebbe preso dai fondi della Caritas) da giustificare con una generica causale di «borsa di studio». Un risarcimento con il vincolo del silenzio che Antonio Messina rifiuta. Intanto il sacerdote viene mandato nella diocesi di Ferrara per un periodo di studio e riflessione – periodo in cui Rugolo continua a essere in contatto con i ragazzini della parrocchia. Quando scatta la denuncia penale, anche Gisana risulta coinvolto: «Il problema è anche mio perché io ho insabbiato questa storia… eh vabbè, pazienza, vedremo come poterne uscire!», si sente in un’intercettazione. Proprio il comportamento di copertura del vescovo è stato stigmatizzato duramente durante la requisitoria del pubblico ministero Stefania Leonte.
Nel processo si erano costituiti parte civile, oltre alla vittima, assistita da Eleanna Parasiliti Molica, i genitori di Antonio Messina con l’avvocato Giovanni Di Giovanni, La Rete l’Abuso, assistita da Mario Caligiuri, e l’associazione Contro Tutte le Violenze con Irina Mendolia mentre responsabili civili erano la diocesi di Piazza Armerina, assistita dall’avvocato Gabriele Cantaro e la parrocchia di San Giovanni Battista di Enna, con Mauro Lombardo.
Ludovica Eugenio – L’arcivescovo del Quebec card. Gérald Cyprien Lacroix, 65 anni, oggetto di una investigazione preliminare
Un anno fa papa Francesco lo aveva nominato tra i nuovi membri del C9, il Consiglio dei cardinali che lo aiutano nell’opera di riforma della Chiesa, ora ha nominato un giudice in pensione della Corte Superiore del Quebec per indagare sulle accuse di abusi sessuali che sono state mosse contro di lui. Parliamo dell’arcivescovo del Quebec card. Gérald Cyprien Lacroix, 65 anni, oggetto di una investigazione preliminare affidata dal papa, in conformità con le disposizioni del Motu proprio Vos estis Lux mundi, a un giudice in pensione della Corte superiore a causa di una class action che lo ha citato come responsabile di presunta violenza sessuale su una adolescente di 17 anni tra il 1987 e il 1988.
L’azione legale, autorizzata dalla Corte Superiore del Quebec nel 2022, ontava già 147 imputati, e coinvolge ora, oltre al cardinale, anche 4 istituzioni diocesane tra cui il seminario. è stata lanciata dallo studio legale Arsenault Dufresne Wee Avocats che ha posto fine a un tentativo di composizione amichevole avviato nel contesto della class action contro la diocesi. Lacroix, arcivescovo dal 2011, cardinale dal 2014, e membro di diversi Dicasteri vaticani – ha respinto le accuse, ma il 26 gennaio, in un video di sei minuti, ha annunciato le proprie dimissioni temporanee in attesa che la situazione si chiarisca.
«La nostra Diocesi resta fermamente impegnata a garantire che le vittime di abusi ricevano un risarcimento finanziario oltre ad altri mezzi a loro disposizione per ottenere la guarigione. Riconosciamo la sofferenza delle vittime ed è con umiltà che andiamo avanti nel processo di azione collettiva».
Il cardinale ha anche espresso delusione per il fallimento delle trattative con lo studio legale: «Temo che questa decisione prolungherà indebitamente i ritardi prima del risarcimento che le sopravvissute ad abusi sessuali aspettano da troppo tempo». Un’uscita ritenuta sorprendente dallo studio legale Arsenault che, secondo quanto riportato da Ici Québec – Radio Canada ha ribadito come le due parti avessero firmato un accordo di riservatezza sul contenuto di questo tentativo di composizione amichevole proposto dalla Corte Superiore e durato più di un anno: «Hanno molta compassione per le vittime, è bellissimo. Ha detto l’avvocato Arsenault. Ma dopo? Sì, preghiamo per le vittime, ma quali azioni hanno intrapreso in seguito?».
Francesco Zanardi – Abusa per 4 anni di due ragazzini, ex dirigente dell’Azione Cattolica condannato a 9 anni
Ex dirigente dell’Azione Cattolica, prof di religione e vicepreside. Per lui, accusato di violenza sessuale su minori, erano stati chiesti 10 anni di carcere. Ma la Procura di Tivoli non esclude un secondo processo.
È stato condannato a 9 anni di carcere per violenza sessuale Mirko Campoli, ex dirigente dell’Azione Cattolica, insegnante di religione e vicepreside a Tivoli. Per circa quattro anni l’uomo ha abusato di un ragazzino che gli era stato affidato. Ma non è l’unico ad aver subito le violenze di Campoli: per una seconda violenza, avvenuta durante un camposcuola, ha provato a difendersi in aula sostenendo; “In quel periodo soffrivo di depressione”.
Le indagini sono scattate dopo che i due ragazzini si sono confidati con le fidanzate, anni dopo aver subito gli abusi. È così che sono stati spronati a denunciare, anche con l’aiuto della Garante per l’infanzia e l’adolescenza nel Lazio, Monica Sansoni, che si è costituita in quanto Garante, parte civile nel processo.
All’epoca i due avevano 12 e 16 anni. Sul primo ragazzo gli abusi sarebbero andati avanti per quattro anni, fino a quando non è scoppiato il covid ed è stato disposto il lockdown. I genitori del piccolo lo avevano affidato a Campoli, fidandosi di lui che, invece, avrebbe abusato del dodicenne a Tivoli, Guidonia e in altri centri italiani, anche durante una gita a Gardaland, “almeno una volta al mese”, per un totale di una cinquantina di episodi. Il sedicenne, invece, sarebbe stato abusato durante un viaggio d’istruzione a Loreto, in provincia di Ancona, a cui Campoli aveva partecipato come professore e vicepreside.
Fanpage
Alessio Di Florio – Tra le parole e la realtà c’è di mezzo la verità
«Papa: abusi, non accada più che non siano ascoltate le vittime» ha titolato l’Ansa il 7 marzo. «Occorre coraggio per andare fino in fondo nell’accertamento rigoroso della verità. Questo vale in special modo quando emergono e devono essere sanzionati comportamenti gravi e scandalosi, tanto più quando avvengono nell’ambito della comunità cristiana» sono le parole del discorso di Bergoglio il 2 marzo all’inaugurazione dell’anno giudiziario vaticano.
Due discorsi che apparirebbero più che condivisibili e persino coraggiosi, intenzioni pie e di verità e giustizia, di cristianità autentica. Nelle stesse ore le agenzie stampa hanno battuto la notizia che finalmente anche Gasparri per Forza Italia ha consegnato la lista dei membri della commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Quarant’anni sono passati dal rapimento di Emanuela Orlandi, quarant’anni di silenzi, depistaggi, trame, di giustizia negata. E se ci sono mura finora invalicabili per Pietro Orlandi sono quelle vaticane. La commissione parlamentare è stata attaccata e ostacolata in primis dagli ambienti vaticani, Alessandro Diddi (colui che dovrebbe indagare per conto della “giustizia” vaticana) ha pubblicamente attaccato l’istituzione della commissione. Così come ha fatto il cattolicissimo Pierferdinando Casini nelle stesse aule parlamentari. Diddi che ha anche attaccato lo stesso Pietro Orlandi e l’avvocato Laura Sgrò, oltre ad aver riesumato vecchie accuse ad uno zio costruendo una realtà artefatta e non vera. Nei decenni innumerevoli sono i casi di abusi insabbiati, depistati, nascosti, di giustizia negata. E l’ascolto da parte della “giustizia” vaticana, il caso italiano ne è plastica dimostrazione, non è mai esistito. Dalla CEI di Zuppi siamo passati dai proclami ad una realtà di vescovi che hanno coperto, che hanno perseguitato giornalisti, di difesa di se stessi. Due report non hanno riportato nulla e una gran parte delle diocesi non ha mai istituito i tanto sbandierati servizi di ascolto. Ora nuovi bei discorsi di Bergoglio. Ma, ancora una volta, e la coincidenza con la commissione parlamentare sembra quasi un segno del destino e della realtà, tra le parole e la realtà c’è la (mancata) concretezza della verità.
-Pierelisa Rizzo – Enna, l’avvocato della diocesi annuncia che impugnerà la sentenza Rugolo
Sulla vicenda del sacerdote Giuseppe Rugolo, condannato in primo grado a 4 anni e 6 mesi, dal tribunale di Enna per violenza sessuale aggravata a danno di minori e atti sessuali con minori, si sperava che la sentenza, emessa il 5 marzo scorso, potesse porre fine alla vicenda. Invece il botta e risposta tra il legale della Diocesi, condannata alla responsabilità civile in solido con Rugolo, e l’avocato della difesa di Antonio Messina, il giovane che ha denunciato, non si placa. Al tentativo di minimizzare i reati messi in atto da Gabriele Cantaro, legale della Diocesi, risponde l’avvocato di Messina, Eleanna Parasiliti Molica. E mentre la Diocesi con il suo avvocato, punta il focus sul tentativo di violenza, riconosciuta in sentenza, contro il Messina l’avvocato Parasiliti Molica ricorda in una nota che il Tribunale di Enna, con riferimento alla posizione di Antonio Messina, ha condannato Rugolo per tentata violenza sessuale in ordine ai fatti accaduti nel 2013, dichiarando la prescrizione per i fatti accaduti in precedenza. Un tentativo di minimizzare i fatti, dunque che non coglie nel segno, perché si omette di raccontare che, con riferimento ai fatti del 2013, il reato risulta tentato solo grazie al fatto che Antonio Messina è riuscito a sottrarsi all’aggressione sessuale. Ciò significa che a dire del Tribunale, i fatti che vanno dal 2009 al 2012 sarebbero avvenuti ma si sarebbero estinti per prescrizione a causa del decorso del tempo. Se il Tribunale avesse ritenuto che i fatti non fossero accaduti, avrebbe prosciolto l’imputato nel merito. “Vorrei ricordare – aggiunge l’avvocato Eleanna Parasiliti Molica – che il reato per il quale comunque, Rugolo è stato condannato è “violenza sessuale aggravata a danno di minori” e “ atti sessuali con minori” relativamente alle altre due vittime”. E la reale pericolosità delle condotte ascritte al sacerdote, riconosciuta dalla sentenza ,si evince dalla decisione del Tribunale di dichiarare l’interdizione in perpetuo da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché
da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. Proprio questa statuizione evidenza l’importanza di questa pronuncia che ha condannato il metodo abusante utilizzato da Rugolo nei confronti dei minori, a cui Enna aveva affidato i giovani. In tal senso è significativa la condanna della Diocesi nella qualità di responsabile civile. “A fronte di queste considerazione conclude la Parasiliti- è intenzione di questa difesa portare a conoscenza alla autorità giudiziarie competente il contenuto dell’hard disk, elaborato dalla Polizia Giudiziaria dopo il sequestro dei supporti informatici di Rugolo, perchè venga accertata la presenza di immagini pedopornografiche, alcune delle quali già prodotte in aula. In attesa della lettura delle motivazioni auspico un contegno rispettoso nei confronti di quelli che sono stati e rimangono vittime e che si prenda atto di una sentenza di condanna.
Ora la Chiesa faccia la sua parte.
Federico Tulli – A cosa servì davvero l’Inquisizione
Nel 1517 iniziò a circolare per l’Europa la Taxa camarae, un documento che porta in calce la firma di papa Leone X. Si tratta di un elenco di indulgenze messe in vendita in cambio dell’assoluzione sacramentale dai peccati gravi commessi da religiosi. Omicidio, rapina, furto, truffa. Per il pontefice figlio di Lorenzo de’ Medici, in crisi di liquidità a causa degli spropositati costi di costruzione della basilica di San Pietro, tutto aveva un prezzo. Tutto poteva essere perdonato. Anche gli stupri di donne e bambini. «Se l’ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione chiedesse d’essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 219 libbre, 15 soldi. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie e non con una donna, pagherà solamente 131 libbre, 15 soldi», cita il punto 2 del documento. Oggi è oramai opinione diffusa tra gli storici che la Taxa camarae sia un falso, messo in circolazione all’epoca dai seguaci di Lutero che intendevano in questo modo denunciare il degrado morale in cui versava la Chiesa di Roma. Se quelle tariffe erano un bluff, ciò non può dirsi dei crimini che vennero commessi da sacerdoti di ogni ordine e grado al tempo e nei secoli successivi, sapientemente sottratti dal segreto dell’Inquisizione al pubblico dominio. Vi fa venire in mente qualcosa? Riscontrate per caso delle analogie con il modo in cui la Chiesa, soprattutto quella italiana, affronta il fenomeno criminale della pedofilia ai giorni nostri?
Ecco cosa scrive lo storico Adriano Prosperi, uno dei massimi esperti di storia del Sant’uffizio.
“E dunque guardiamo in faccia la verità: che è quella di una turpitudine storica e non solo episodica, giuridica e non solo morale. Questa vicenda è cominciata secoli fa: la inaugurò papa Paolo IV Carafa quando nel 1559 stabilì che i preti e i frati colpevoli di reati di natura sessuale nati nel contesto della confessione sacramentale dovessero essere sottoposti al Sant’Uffizio dell’Inquisizione. Era una misura in apparenza radicale, dura, minacciosa per i colpevoli: in realtà era la via d’uscita per chiudere la conoscenza di episodi scandalosi nello spazio giuridico di un tribunale ecclesiastico segretissimo. La ragione della scelta era ovvia: Lutero aveva bruciato non solo la bolla di scomunica ma anche l’intero corpus del diritto canonico, giudicato da lui una delle muraglie con cui il clero si era alzato al di sopra del popolo cristiano.
La Chiesa cattolica ribadì la superiorità sacrale del clero, mantenne il diritto canonico e il privilegio del foro per i chierici e, nel confermare l’obbligo del celibato ecclesiastico, preparò un comodo rifugio per chi lo infrangeva e per chi infangava il sacramento del perdono dei peccati attentando ai minori e alle donne che si affacciavano al confessionale. Da allora e per secoli i processi per i casi di «sollicitatio» sono stati nascosti dal segreto impenetrabile del Sant’Uffizio mentre i colpevoli venivano semplicemente trasferiti di sede per difendere il buon nome del clero: fino a oggi”.
2024-03-12 08:11:57
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