Sono trascorsi già oltre dieci mesi dalla morte di Andrea Purgatori. Tanti sono i dubbi e gli interrogativi sulle sue condizioni di salute e su come è stato (non) curato.
E immensa è già la mancanza di un giornalista come lui, capace di inchieste straordinarie e coraggiose. La settimana scorsa in Abruzzo alla sua memoria è stato conferito il Premio Nazionale Pratola. Nella motivazione Purgatori è stato definito “Principe del giornalismo d’inchiesta”.
Il figlio Edoardo ha sottolineato che è un premio “soprattutto all'impegno profuso nella ricerca della verità e della giustizia” e che “il modo migliore per onorarlo è quello di incentivare il giornalismo d'inchiesta”.
Tra le grandi inchieste giornalistiche di Purgatori, da lui portata avanti fino alla fine, c’è stata quella per la verità su Emanuela Orlandi sostenendo la lotta del fratello Pietro e dell’intera famiglia. «Per me era un amico, quasi un famigliare, conosceva i miei figli, mia moglie e con me aveva un’amicizia quarantennale – scrisse Pietro Orlandi dopo la morte di Purgatori – del suo lavoro di giornalista, che dire, sono i fatti che parlano. La passione e il coraggio che ha messo in tutte le sue inchieste rimarranno nella storia del giornalismo, non può essere diversamente».
Il fratello di Emanuela ricordò l'ultimo incontro in occasione della convocazione in Senato per l'iter di approvazione della commissione d'inchiesta sul rapimento di Emanuela Orlandi: «non sapevo in quel momento del suo stato di salute, eppure si percepiva che qualcosa non andava. Ma, nonostante stesse soffrendo, ha voluto essere presente per dare ancora una volta il suo contributo alla causa» e ribadire l'importanza dell'istituzione della commissione osteggiata dallo stesso Vaticano e da settori del giornalismo e della politica italiani.
«Mi mancherà Andrea. Mi mancherà la sua spalla nei momenti di difficoltà e nel proteggermi da quel fango che ultimamente ci arrivava addosso. Mi mancherà quando non potrò mandargli messaggi per chiedergli un parere, per chiedergli cosa ne pensasse di questo o di quel fatto – scrisse commosso e grato per il suo impegno da giornalista Pietro Orlandi – soprattutto mi mancherà sentirlo al mio fianco nel portare avanti questa battaglia, che sicuramente vinceremo. Quando accadrà l’avrà vinta anche lui, perché una parte del merito è certamente anche sua».
Nel gennaio scorso, nei giorni di un sit in a Roma nel giorno del compleanno di Emanuela Orlandi, Pietro Orlandi ha ricordato che un’inchiesta di Andrea Purgatori ha spiegato “il mondo sporco di quegli anni tra Stato, Chiesa e criminalità di quegli anni” che “ancora oggi occulta la verità sul rapimento di Emanuela". "Gran Loggia vaticana” intervistando Rosita Pecorelli, sorella del giornalista ucciso.
«Mino mandò a Papa Luciani l’elenco dei prelati infedeli… Quella notte il Papa morì» ha dichiarato Rosita Pecorelli nell’intervista.
Nell’inchiesta sulla “Gran Loggia vaticana” Pecorelli rivelava che 121 tra alti prelati e cardinali erano membri di una loggia massonica.
«Tra loro ce ne erano quattro che riportano ad Emanuela Orlandi: l’allora segretario di Stato Agostino Casaroli, il cardinale Ugo Poletti che fornì la dispensa per la sepoltura del capo della fazione testaccina della Banda Magliana Enrico De Pedis nella Basilica di Sant’Apollinare, sede della scuola di musica di Emanuela – sottolineò Alessandra De Vita su Il Fatto Quotidiano online – nell’elenco consegnato a Papa Luciani, poche ore prima della sua morte, c’erano anche Pietro Vergari, ex rettore della stessa Basilica di Sant’Apollinare e indagato nella seconda inchiesta sul caso Orlandi (poi archiviata) per concorso in sequestro e Paul Marcinkus, ex capo dello Ior, la banca Vaticana».
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