Abbiamo ricordato nei giorni scorsi la strage di Natale 1996 e le inchieste di Dino Frisullo sulla “holding degli schiavisti”, la catena imprenditorial-criminale, con testa turca, armatori greci e tentacoli protesi dai villaggi del Kurdistan e del subcontinente indiano fino alle coste italiane, che mercificava i fuggitivi dalla miseria dell'India e del Pakistan e dalle guerre del Kurdistan, dello Sri Lanka, del Kashmir, come la definì lo stesso Dino. Il centro dei traffici era Istanbul, dove la mafia turca era «libera di operare quasi alla luce del sole» godendo «della copertura e della connivenza delle autorità». Ma nulla avvenne da parte delle autorità e dei governi italiani ed europei che, molti anni dopo, per «governare l’immigrazione» finanziarono con milioni e milioni di euro il governo turco. Il capitano della nave e l’armatore sono stati condannati. Ma nessun governo si è mai impegnato a chiederne l’estradizione e l’esecuzione delle condanne.
Nel 2011, quindici anni dopo quella strage, ci fu la guerra contro la Libia di Gheddafi. In Italia fu dichiarata l’emergenza nord Africa e, pochi anni dopo la chiusura dei Cpt, furono introdotti dall’allora governo Berlusconi, ministro dell’Interno Roberto Maroni della Lega, nuovi centri di detenzione per migranti. Tra questi i CARA. Uno dei più conosciuti fu costruito a Mineo e lo stesso Maroni fu presente all’inaugurazione definendola un “villaggio della solidarietà”. Anni dopo, nel pieno delle campagne della Lega contro l’immigrazione, Matteo Salvini (che da Ministro dell'Interno lo chiuse dopo otto anni di attività) si fece immortalare mentre dormiva una notte nel CARA. Voleva “dimostrare” che nei centri i migranti facevano la “pacchia” e che erano una sorta di alberghi a cinque stelle. Ma atti e fatti raccontano ben altro di quel CARA. E hanno documentato e denunciato come l’unica pacchia l’hanno avuta facoltosi e potenti, anche (se non soprattutto) in odor di mafie.
Era il gennaio 2017 quando Rete antirazzista catanese, il Comitato No Muos, l’Associazione “La Città Felice” e i Cobas Scuola di Catania tornarono a chiedere la chiusura immediata del CARA di Mineo. Cinque mesi dopo ne sostenne la necessità anche una Commissione parlamentare d’inchiesta. I sopralluoghi del 26 maggio 2015 e del 7 luglio 2016, avevano documentato contesti «spesso invivibili e lesivi della dignità umana», gravi problemi di sicurezza e «vere e proprie infiltrazioni mafiose». Condizioni igieniche precarie, appartamenti fatiscenti, evidente carenza dell’attività di manutenzione della struttura, servizio medico deficitario, mancanza di spazi di socialità, insufficiente mediazione linguistico-culturale le accuse dei parlamentari della commissione d’inchiesta. Un quadro di «opacità di gestione ed episodi di illegalità» con scelte clientelari dei fornitori, personale assunto per chiamata diretta senza verificare i requisiti professionali, irregolarità nelle comunicazioni al Prefetto e gestione non trasparente dei pocket money secondo i parlamentari. Appare evidente, si legge nella relazione dei parlamentari, il collegamento tra il centro e alcuni politici locali. Un intreccio che «lascia trasparire una gestione clientelare del centro anche al fine di acquisire e distribuire vantaggi economici e scambiarli con consensi elettorali». Il Cara doveva “essere chiuso nel più breve tempo possibile” la conclusione dei parlamentari.
Il 30 agosto 2015 a Palagonia furono uccisi in maniera brutale e terribile due coniugi. Fu fermato un ivoriano detenuto nel CARA di Mineo. Il 17 dicembre 2016 in quattro furono accusati di aver drogato e violentato una ragazza (a sua volta ospitata nel centro). Intervistato da Radio24 il procuratore Verzera sottolineò che le presenze al Cara erano 3.700, un «numero praticamente pari agli abitanti di Mineo». «Ogni giorno succede qualcosa: ci sono arrestati, risse, maltrattamenti, c’è gente che tenta il suicidio, quindi ci sono continui interventi delle forze dell’ordine» denunciò il magistrato.
«Perché da Roma il Ministero dell’Interno aumenta le presenze, anziché chiuderlo? Come mai si affronta la drammatica condizione di vita dei richiedenti asilo solo come un problema di ordine pubblico? Le forze dell’ordine cosa controllano dentro il Cara se viene per giorni stuprata una ragazza nigeriana e se giornalmente ci sono donne migranti che vengono prelevate dinanzi ai cancelli del Cara per incrementare la piaga della Tratta e il racket della prostituzione? – chiesero le associazioni antirazziste – il problema non si può risolvere semplicemente con l’aumento della militarizzazione dentro il Cara, quando la criminalità indigena è ben presente ed attiva nel calatino, ma si dovrebbe invece far crescere ed esprimere il protagonismo democratico fra i/le richiedenti asilo , oscurato da anni dai media».
I 4 sodalizi antirazzisti invitarono «ad una maggiore cautela ed attenzione alle drammatiche ingiustizie e violenze che subiscono persone costrette a fuggire da guerre e miseria, spesso causate dalle criminali politiche dei paesi cosiddetti ricchi», sottolineando di aver già denunciato nel dicembre di tre anni fa, dopo il suicidio di Mulue Ghirmay, che nel Cara «il controllo sociale sostanzialmente è stato subappaltato a boss etnici che spadroneggiano fra connazionali e non solo. Anche l’inchiesta di Fabrizio Gatti sul Cara di Borgomezzanone documenta il controllo della mafia nigeriana nella gestione della prostituzione, del caporalato e nel traffico di droga in Puglia».
Quello che nel 2011 doveva nascere come “villaggio della solidarietà”, sin dall’inizio è «stato un laboratorio di nuove politiche segregazioniste per i richiedenti asilo» in cui «si sono manifestati gli appetiti di chi vedeva nel Cara una preziosa opportunità per fare un gigantesco business» grazie «a complicità bipartisan delle forze politiche e sindacali» denunciarono il Comitato No Muos, l’Associazione “La Città Felice” e i Cobas Scuola di Catania . E, nella regione in cui – come denunciò Antonello Mangano su L’Espresso nel settembre 2014 – almeno 5 mila donne rumene subivano ripetute violenze sessuali durante i festini organizzati dai padroni dei campi nei quali sono recluse e sfruttate dal caporalato agricolo, nel territorio del Cara di Mineo ci sono «aziende agricole che scaricano i costi della crisi agrumicola supersfruttando in nero i migranti (circa 15 euro per 9/10 ore ) e clienti che a basso prezzo godono delle prestazioni sessuali delle donne migranti, indotte dall’indigenza a prostituirsi». Il CARA di Mineo era citato in alcune intercettazioni agli atti dell’inchiesta sul “Mondo di Mezzo” romano. Un sistema che, scrisse già allora la Rete Antirazzista catanese, «nel Cara di Mineo ha espresso la sua capacità di fare coincidere i controllati con i controllori, si è consolidato un sistema clientelare che accontenta tutti, dalle istituzioni ai media, dai sindacati all’associazionismo» mentre le condizioni di vita dei migranti peggioravano, riferendo che «la media di abitanti nelle case è di oltre 20 persone (quando vi alloggiavano i militari statunitensi di Sigonella vi abitava un solo nucleo familiare) e le condizioni d’indigenza (si continua a versare il pocket money quotidiano di euro 2,50 in sigarette) costringono molti migranti a lavorare in nero per 10/15 euro al giorno nelle campagne; stanno dilagando anche la prostituzione e lo spaccio di droga».
«Questo mega-Cara, unico in tutta Europa, è un esperimento fallito di contenimento forzato dei migranti, che vengono parcheggiati a tempo indeterminato (in media 18 mesi) e che sta costruendo un conflitto razziale tra autoctoni e migranti: da una parte i richiedenti asilo vengono supersfruttati dai caporali nelle campagne, dall’altro la destra xenofoba alimenta nel calatino la guerra fra poveri, mentre con Mafia Capitale i fascio-mafiosi si sono arricchiti sulle nostre spalle e dalle nostre tasche» la denuncia del sodalizio antirazzista.
Nei giorni scorsi si è tornato a parlare (e spesso, troppo spesso, a sparlare) di caporalato. Tra qualche giorno tutto sarà dimenticato e lo schiavismo del XXI secolo (perché tale è, dalla logistica all’agricoltura ad altri settori economici) continuerà ad essere strutturalmente presente, attivo, florido e lucrativo, i padroni continueranno ad essere padroni e gli schiavi ad essere sfruttati. Chi ricorda più sindacalisti, braccianti, lavoratori migranti (e non solo) uccisi dalla schiavitù e dalle mafie negli anni scorsi? Non sono passati secoli o ere geologiche ma anche solo il loro nome e il loro volto sono cancellati dalla “memoria collettiva”. Il caporalato a Mineo nacque con il CARA denunciò su L’Espresso nel 2015 Antonello Mangano. «Il viaggio dal Ghana, lo sbarco a Lampedusa, il trasferimento al centro di Mineo. Marcus, lo chiameremo così, sembra un migrante come tanti. Invece lo Stato italiano lo ha trasformato in un fantasma senza diritti. Avrebbe dovuto ricevere almeno tre documenti. Non ne ha avuto nessuno. Adesso, se vuole lavorare, può farlo solo da schiavo». Questa la prima denuncia all’inizio dell’articolo di Mangano.
«Si può scegliere tra il limbo e i caporali. Mineo è un’isola in un mare di aranceti. Basta un rapido giro per incontrare estensioni senza fine. Piccoli proprietari e grandi latifondi. Tutti hanno bisogno di braccia. I padroni senza scrupoli scelgono quelle a basso costo. «C’è un caporalato diffuso, pazzesco e impressionante», denuncia Elvira Iovino del Centro Astalli di Catania. Antonella Elisa Castronovo è una dottoranda di ricerca dell’Università di Pisa che ha condotto uno studio nella zona. «I risultati hanno mostrato implicazioni molto significative nel mercato del lavoro locale», spiega all’Espresso. «Il caporalato non esisteva nella zona, è stato letteralmente introdotto col Cara». Il suo studio è stato pubblicato da una rivista scientifica internazionale, l’Open Journal of Social Sciences. Tra i testimoni che ha intervistato, tra gli altri, ci sono alcuni sindacalisti del luogo: «Gli “affricani”, ed è quello che accade nel Cara di Mineo, si fanno trovare alle sette del mattino in un determinato posto, passa il tizio locale, recluta alcuni lavoratori, li porta a lavorare in campagna e gli da 3 euro l’ora o 10 euro al giorno» dichiara uno di loro. «I richiedenti asilo sono pagati ancora meno degli immigrati “economici”», dice un altro intervistato. Anche la Cgil conferma: «Nell’area del calatino gli immigrati del centro di accoglienza sono facili vittime dei caporali», dice all’Espresso Salvatore Tripi, segretario della Flai regionale».
Questo è uno stralcio, quello in cui si denuncia come il caporalato è nato e cresciuto dopo l’avvio del CARA, l’articolo integrale è qui https://www.terrelibere.org/mineo-qui-il-caporalato-non-cera-e-nato-con-il-cara/
PRIMA PARTE. Chi ricorda più la strage di Natale 1996?
https://www.wordnews.it/chi-ricorda-piu-la-strage-di-natale-1996
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2024-06-27 16:01:40
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