La riforma sull’autonomia differenziata è stata approvata anche alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto anche di scontri pressoché politici. È favorevole o contraria? Perchè?
Sono assolutamente contraria. E’ un provvedimento che cristallizza e acuisce le distanze fra Nord e Sud, penalizzando in particolare il Meridione e soprattutto le donne sul piano dei diritti e dei servizi garantiti ai cittadini. Pensiamo alla sanità solo per fare l’esempio più evidente e drammatico, perché niente è più prezioso della salute e dunque del diritto alla cura.
Il gap sanitario, oggi già pagato pesantemente dal Sud e dalle donne meridionali, si acuirà. Questa riforma, proprio perché spacca il Paese, finirà inoltre per impattare negativamente sulla possibilità di crescita dell’Italia rendendola meno competitiva: senza crescita del Sud non c’è crescita per l’intero Paese.
La riforma inoltre delega alle Regione 23 materie fra le quali le politiche energetiche, cioè un ambito, per fare un esempio, che meriterebbe una governance nazionale essendo ormai, per sua natura, una sfida di carattere europeo.
E lo stesso ragionamento vale per scuola, università, salute, coordinamento della finanza pubblica, previdenza, reti di trasporto e navigazione, porti e aeroporti di rilievo nazionale e interregionale.
C’è chi dice che per primo, questa legge, l’ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?
Anche intervenendo in aula, ho sempre rimarcato come la concreta attuazione della Riforma del 2001 abbia dimostrato importanti limiti da correggere. Non a caso, abbiamo presentato un Ddl proprio per fare un “tagliando” a quella riforma, nata in un tempo in cui insidiosa era la sfida del federalismo della Lega.
Il punto da chiarire è un altro: l’autonomia è riconosciuta come opportunità nella stessa Costituzione, fatto salvo un principio inderogabile, cioè che la Repubblica è una e indivisibile. Dunque l’unità, la sussidiarietà, la solidarietà, la coesione sono valori assoluti per la nostra Repubblica, messi in crisi dal progetto Calderoli.
Il nodo quindi è “come” si realizza l’autonomia: la versione di questa maggioranza è la più sbagliata e per questo preoccupa.
Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alle specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione? Se no, perché?
La rispondenza fra servizi e territorio è un principio giusto. La sussidiarietà presuppone però che ci siano materie non delegabili che devono restare nelle mani salde dello Stato centrale (sanità, istruzione, approvvigionamento energetico) perché non è pensabile differenziarle in 20 sistemi regionali: il rischio infatti è l’indebolimento della tenuta sociale e della competitività nazionale, come hanno sottolineato tutti i soggetti auditi in Commissione Affari Costituzionali.
Le critiche verso questa riforma sono state mosse dai sindacati, dalle associazioni di categoria, dalle associazioni datoriali come Confindustria, non dimenticando la Banca d’Italia e la Cei, fino alle authority di controllo come l’Ufficio Parlamentare del Bilancio.
Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che il tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?
La nostra contrarietà non è una mera opposizione dettata dall’interesse di parte: noi avanziamo critiche nel merito di un provvedimento che proprio ai bisogni delle cittadine e dei cittadini, che lei richiamava, non offre risposte. Noi avevamo offerto un terreno di confronto con il nostro Ddl di tagliando alla riforma del titolo V del 2001, ma la destra ha detto no.
Noi sosteniamo infatti che quella riforma vada revisionata per correggerne le storture soprattutto riconoscendo che alcune materie non devono essere delegate. La domanda va posta alla destra, che criticava allora la nostra riforma, e oggi ne dà piena attuazione: quale coerenza c’è?
Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alle Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull’autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?
Dopo un’approvazione a colpi di maggioranza e senza alcuna apertura al confronto con le opposizioni, ci sono due percorsi possibili per il referendum e stanno procedendo in parallelo. Quello delle Regioni amministrate dal centro-sinistra (Campania Emilia Romagna e Toscana già si sono attivate e presto si aggiungeranno Puglia e Sardegna) e quello della raccolta delle 500 mila firme che vedrà impegnate le forze di opposizione.
Sono percorsi legittimi che condivido, in particolare trovo prezioso in questo caso lo strumento del referendum: l’impatto di questa riforma sulla vita reale e quotidiana delle persone è talmente forte che è giusto che si esprimano cittadine e cittadini. Niente toglie, chiaramente, che una Regione possa adire la strada del ricorso alla Corte Costituzionale.
Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c’è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c’è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d’Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perchè?
I Lep hanno una loro funzione positiva, se vengono realizzati e soprattutto finanziati. I Lep vanno definiti -e finanziati- anche cercando di farli corrispondere maggiormente alle esigenze e ai bisogni concreti delle donne, per esempio, perché questo è uno degli aspetti di maggiore criticità che da tempo permane. Comunque personalmente parlerei più che di Livelli essenziali delle prestazioni di livelli omogenei o uniformi delle prestazioni, come suggerisce Svimez.
C’è chi afferma, però, che con l’autonomia differenziata di risorse ce ne saranno sempre di meno…
Alcune Regioni, penso al Sud, saranno penalizzate perché viene messo in discussione il principio di solidarietà e nel concreto il Fondo perequativo, privato di risorse. A questa autonomia sopravviveranno soltanto le Regioni che hanno la leva fiscale più forte, dunque il tessuto economico più avanzato. Proprio perché come detto più volte è una riforma a invarianza finanziaria cioè non prevede impegno di risorse aggiuntive e perequative soprattutto per le Regioni più fragili economicamente.
Ma secondo lei bastano questi Lep a garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti?
Il tema è come vengono definiti, e qui ribadisco quando detto sul tema di una mancata visione di genere, e come vengono poi finanziati e realizzati. Mi faccia però fare una riflessione politica fin qui non fatta.
Prego.
Lei citava la Regione Calabria guidata da un presidente di destra, Occhiuto, che ha sollevato le sue perplessità sull’autonomia, perché ci sono – ricordiamolo- anime diverse in questa maggioranza e alcune, come la componente meridionale di Forza Italia, non ha fatto mistero del proprio scetticismo.
Del resto questa secessione di fatto è anche molto lontana dalla storia e dai valori – almeno proclamati a parole- di Fratelli d’Italia, quella martellante retorica dello stato nazione, del sovranismo.
Per quanto riguarda il tema della sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?
La contrazione del diritto alla cura, sancito dalla Costituzione all’art.32, un diritto universale, in particolare laddove già è difficilmente garantito. La risposta a questa sua domanda è un’altra domanda che le pongo: vorrà dire qualcosa se tutti i sindacati e tutte le associazioni del personale sanitario hanno manifestato profonda contrarietà lanciando l’allarme sulle conseguenze di questa riforma?
Come ricordato da Gimbe, l’autonomia differenziata legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute e assesterà il colpo di grazia al Ssn, che è invece il nostro bene più prezioso perché dovrebbe assicurare il diritto universale alla cura a tutte le persone. Ricordo che stiamo assistendo alla dissoluzione del Ssn a causa della sola competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute, figuriamoci cosa può accadere con l’autonomia.
A conti fatti qual è il vero scopo di questa riforma?
Riforma della giustizia (Forza Italia), riforma dell’autonomia differenziata (Lega) e riforma del premierato (Fratelli d’Italia): tre manomissioni della Costituzione e degli equilibri democratici della Repubblica che rientrano in una logica di scambio politico di una maggioranza profondamente divisa.
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