Nella giornata di martedì 25 febbraio la ministra del Turismo Daniela Santanchè ha preso la parola in Parlamento per difendersi dalle accuse che la coinvolgono, in particolare quelle relative al falso in bilancio e alla presunta truffa all’INPS nell’inchiesta sulla società Visibilia. Il suo discorso, lungi dall’essere un chiarimento istituzionale, è sembrato più un’arringa difensiva incentrata sulla propria persona senza alcuna reale presa di coscienza sul peso politico della vicenda.
Ciò che ha colpito maggiormente è stata la totale assenza di responsabilità istituzionale, aggravata da affermazioni fuori luogo e di dubbio gusto. Santanchè ha insinuato che il vero problema non siano le accuse rivolte a lei ma l’invidia per la sua ricchezza e il suo stile di vita. Un discorso che suona come una presa in giro nei confronti di un Paese in cui molti cittadini affrontano difficoltà economiche e si rimboccano le maniche ogni giorno per lavorare con dignità.
La sua linea di difesa non convince. La ministra ha ribadito che, in caso di rinvio a giudizio, valuterà autonomamente se dimettersi, senza cedere a pressioni esterne. Una dichiarazione che lascia più di un dubbio: un ministro sotto processo può restare in carica senza conseguenze per il governo? E soprattutto, questa situazione potrebbe renderla in grado di esercitare pressioni sulla stessa Giorgia Meloni, mettendone a rischio l’autonomia politica?
Ma il vero interrogativo è un altro: e se a essere ricattabile fosse Giorgia Meloni? L’ipotesi, avanzata da alcuni esponenti dell’opposizione come Giuseppe Conte, apre scenari ancora più inquietanti. Possibile che Santanchè, con la sua posizione delicata e le sue vicende giudiziarie, possa esercitare una qualche forma di pressione sulla premier? E se sì, in che modo? L’ambiguità della Meloni in questa vicenda potrebbe non essere solo frutto di strategia politica ma il sintomo di una situazione più complessa e preoccupante.
L’atteggiamento della presidente del Consiglio si è rivelato quantomeno contraddittorio. Da una parte, nessun sostegno pubblico e chiaro a Santanchè, dall’altra nessuna reale presa di posizione per richiedere un passo indietro. Se questa vicenda avesse coinvolto un ministro di un governo di centrosinistra, l’attuale maggioranza avrebbe chiesto le dimissioni a gran voce e gridato allo scandalo. Ora, invece, si preferisce il silenzio imbarazzato o la difesa d’ufficio. Un atteggiamento che mette in discussione non solo la coerenza politica della premier ma anche la sua capacità di tenere unita la squadra di governo senza dover sottostare a dinamiche opache.
Il discorso di Santanchè, con le sue dichiarazioni provocatorie e fuori luogo, non ha fatto che confermare il distacco tra politica e cittadini. Mentre il Paese affronta una crisi economica e sociale, la ministra si è presentata come una vittima, riducendo il dibattito a una questione personale e facendo leva su un immaginario di ingiustizia che stride con le responsabilità istituzionali che dovrebbe rappresentare. Parlare di invidia per la ricchezza in un momento storico come questo è non solo fuori luogo, ma offensivo per chi ogni giorno lotta per arrivare a fine mese.
L’intera questione solleva una riflessione più ampia: quanto questa classe politica ci rappresenta davvero? Le istituzioni dovrebbero essere il simbolo della credibilità e dell’integrità del Paese, non un rifugio per chi cerca di sfuggire alle proprie responsabilità. L’immagine che l’Italia sta dando al mondo è quella di un governo che si protegge a vicenda, anziché tutelare la trasparenza e l’etica pubblica. La politica dovrebbe essere il luogo della serietà e della responsabilità e invece si sta trasformando in una pantomima grottesca dove la coerenza ed il rispetto per le istituzioni vengono sacrificati in nome della convenienza.
Ma questa casta politica, che si crede intoccabile e immune a qualsiasi scossone, non è in realtà indistruttibile. La storia dimostra che il potere, per quanto si arroghi il diritto di rimanere al sicuro dietro i propri privilegi, può crollare sotto il peso della sua stessa arroganza. Le dimissioni che oggi sembrano impossibili potrebbero diventare inevitabili se la pressione dell’opinione pubblica e delle forze politiche diventasse insostenibile. Il vero problema non è solo Santanchè: è un sistema che si autoassolve, che si arrocca nel proprio privilegio e che continua a offrire al mondo l’immagine di un Paese incapace di voltare pagina. Ma nessun potere è eterno quando il suo stesso popolo ne perde la fiducia.