La Procura di Roma ha archiviato l’inchiesta che era in corso sulla strage di Ustica. La notizia è stata pubblicata ieri mattina da Repubblica e ripresa ovunque, già nelle prime ore della mattinata di ieri c’è stata una corsa a rilanciare la notizia, a pubblicare articoli su articoli. Giustizia negata per le vittime è stato il canovaccio di tutta la giornata di ieri. Lirio Abbate, nel suo articolo su Repubblica, ha citato l’intervista a Giuliano Amato. La “riserva della Repubblica” (citato come possibile Presidente della Repubblica ad ogni elezione, “statista” buono per tutte le stagioni) in realtà di nuovo di fatto non disse.
Un’intervista che poteva essere uguale dieci, venti, trent’anni fa e non rivela nulla “pietra miliare” del pezzo repubblicano (o repubblichino, fate vobis, come aggettivare una pubblicazione del quotidiano fondato da Scalfari non ci è dato sapere). Stamattina la rassegna delle prime pagine dei più grandi quotidiani non riportava praticamente nulla su quest’archiviazione, nessun quotidiano l’ha considerata degna dei titoloni. Sbuca solo la voce di uno dei principali esponenti della tesi negazionista del DC9 colpito in volo.
Fiumi di inchiostro, pagine e pagine, servizi nei telegiornali, miliardi di bit sulla Rete, ripresa l’intervista rivelante che non rivela nulla, dato spazio a chiunque (o quasi) urla pesante un silenzio, grida un’omissione che fa (o meglio, dovrebbe, far rumore). Si titola ancora una volta, si urla alla giustizia negata ma c’è una giustizia (anzi più di una) che non è stata minimamente citata. Rompiamo il silenzio, diciamo quel che a quanto pare nelle alte sfere (non cubi, non altro, un motivo ci sarà, chissà…) è indicibile, i nomi di Mario Ciancarella, Mario Alberto Dettori e Alessandro Marcucci.
Si racconta che un pesce rosso ha memoria da un lato all’altro della boccia in cui nuota, nel momento in cui tocca una delle sponde la sua memoria è così labile che dimentica tutto e ricomincia la traversata. Il Paese orrendamente sporco, denunciato tutta la vita da Pasolini, che ha costruito e perpetua la boccia in cui l’Italia è perennemente ingabbiato appare drammaticamente e vergognosamente simile a quella boccia. In cui i pesci rossi abbondano. Pesci rossi che portano avanti le colonne che permettono alla boccia del Paese orrendamente sporco di prosperare.
L’Italia è il Paese in cui tutto e il contrario di tutto si sostiene avvenga per fato, destino, per colpe di entità lontane e sideralmente altre. Alimentando un fatalismo, un’arrendevolezza, una normalizzazione che – parafrasando Pavese – è complicità e rende già colpevoli. Albert Einstein disse che una cosa appare impossibile finché non arriva qualcuno che non lo sa e lo realizza. La favola ci racconta che non era la cecità a dominare, che non era impossibile vedere che il Re era nudo. Ma vigeva la regola dell’omertà ed era considerato pericoloso e sconveniente dirlo. Il bambino non lo sapeva e squarciò il velo che copriva le complicità col sovrano.
Come il bambino di fronte il Re nudo, come un pesce ribelle nella boccia dei pesci rossi, come il personaggio di Einstein ricordiamo e diciamolo che sulla strage di Ustica le giustizie negate sono tante. Sulla radiazione di Ciancarella (nonostante una sentenza di tribunale ha accertato che la firma del presidente Pertini era falsa) e sulle morti di Dettori e Marcucci, persone che (come si sarebbe detto una volta) sono state “suicidate”.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, capo del CSM (il massimo organo della magistratura) e delle Forze Armate, il 27 giugno scorso ha dichiarato che la strage di Ustica «resta una ferita aperta anche perché una piena verità ancora manca e ciò contrasta con il bisogno di giustizia che alimenta la vita democratica» e che «la Repubblica non si stancherà di continuare a cercare e chiedere collaborazione anche ai Paesi amici per ricomporre pienamente quel che avvenne il 27 giugno 1980».
L’anno prima Mattarella parlò di «tasselli mancanti», nove anni fa della necessità di «rimuovere le opacità persistenti». Quei tasselli mancanti e quelle opacità persistenti non sono figli del fato o delle stelle o di chissà quale oscuro e lontano manovratore. Sono di Stato, sono frutto di depistaggi (come accertato anche da una sentenza di tribunale) e comportamenti di alte sfere dello Stato italiano. ‘è una sentenza di tribunale che ha accertato che l’aeronautica militare ha radiato con firma falsa dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini il capitano Mario Ciancarella.
Dopo la sentenza il Ministero della Difesa dichiarò che avrebbe portato avanti gli atti di conseguenza, in qualsiasi Stato del mondo queste parole avrebbero avuto un solo significato ovvero la restituzione a Ciancarella del suo ruolo nell’aeronautica militare. Non fu così, non è mai avvenuto e in questi anni nulla di nulla è stato compiuto (lor signori affermarono successivamente che si riferivano al pagamento delle spese processuali). Ad un tribunale si era rivolta anni fa la famiglia di Mario Alberto Dettori, una delle vittime successive di quella strage.
Mentre l’Antimafia SpA, i professionisti dell’antimafia e l’antimafia da parata e ballata, da talk show e da sfilate degne di Cetto La Qualunque era “distratta” una sola voce si è sempre levata, accanto a Ciancarella e accanto alla famiglia Dettori, studiando carte, approfondendo, portando nei tribunali e in ogni sede la denuncia pubblica: l’Associazione Antimafie Rita Atria.
La storia di Mario Ciancarella è raccontata nel libro «Si può si deve, l’ufficiale democratico che ha sfidato l’infedeltà di Stato». «Il libro non racconta soltanto una drammatica storia personale, è una denuncia finora gridata nel deserto, che dovrebbe turbare e interessare tutti» ha scritto nella prefazione Giovanni Maria Flick. «Quello dell’ufficiale democratico Mario Ciancarella è l’unico episodio accertato di una falsa radiazione con la grave violazione delle prerogative della più alta carica dello Stato – si sottolinea nella quarta di copertina del libro – l’obiettivo della radiazione, ottenuta con un falso decreto il cui originale non è reperibile, era di impedire la ricerca della verità sulle stragi di Ustica e del Monte Serra».
«Il capitano Mario Ciancarella, il colonnello Alessandro Marcucci e il controllore di difesa aerea Mario Alberto Dettori sono i tre militari che hanno avuto l’enorme coraggio di dire la verità – prosegue la presentazione – Marcucci e Dettori sono stati assassinati». «Le vite di questi tre uomini sollevano dubbi inquietanti, pongono domande serie, drammatiche, alle quali il pilota militare Mario Ciancarella, grazie a una enorme preparazione, dà risposte convincenti che dissolvono la spessa nebbia creata da esperti depistatori – la conclusione della quarta di copertina – la grave violazione perpetrata con una radiazione falsa e i due omicidi mettono il sigillo della verità sulla loro storia».
Mario Ciancarella, capitano pilota dell’Aeronautica Militare, era diventato negli anni punto di riferimento del movimento democratico dei militari e referente delle rivelazioni «da tutta Italia delle vere o false ignobiltà che si compivano nel mondo militare», come scrisse l’Associazione Antimafie Rita Atria che da 25 anni (quando fu fondata) si è schierata al suo fianco. A Ciancarella si rivolse il maresciallo Mario Alberto Dettori, che era radarista a Poggio Ballone la notte della strage di Ustica, che gli disse «capitano siamo stati noi …», «capitano dopo questa puttanata del Mig libico», «siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù», «ho paura, capitano, non posso dirle altro al telefono. Qui ci fanno la pelle».
Tre settimane dopo, quando venne ritrovato il Mig 23 libico sui monti della Sila, Dettori richiamò Ciancarella, «mi disse che la storia del Mig era una puttanata – ricordò Ciancarella – poi mi diede tre spunti sui quali indagare: comandante, si guardi gli orari degli atterraggi dei jet militari la sera del 27 giugno, i missili a guida radar e quelli a testata inerte. Poi non lo sentii più».
Alberto Dettori fu trovato morto, impiccato, il 31 marzo 1987. Una morte liquidata all’epoca come suicidio e le indagini furono subito archiviate. «Mio padre – ha ribadito durante la trasmissione televisiva Atlantide la figlia Barbara anni fa – disse che l’Italia era arrivata ad un passo dalla guerra» e che la famiglia non ha mai creduto alla tesi del suicidio, sostenuta nella battaglia legale dall’Associazione Antimafie Rita Atria.
Nella ricostruzione della notte della strage (portata avanti insieme con l’Associazione Antimafie Rita Atria), Mario Ciancarella ha sempre ribadito che – come disse in un’intervista radiofonica (forse l’unica occasione in cui una trasmissione gli ha dato voce per oltre un’ora) – si era delineato uno «scenario terribile davanti ai nostri occhi, scenario tragico che concerneva la responsabilità diretta, volontaria e premeditata delle nostre forze armate contro un aereo civile per attribuirne la responsabilità al mig di Gheddafi e per poter compiere da quel momento una destabilizzazione del regime libico … gli stati uniti hanno avuto il ruolo della costruzione dell’idea stessa di Ustica, che ha dovuto poi delegare all’Italia» per questioni interne agli USA di quegli anni.
A domanda diretta, dopo aver ricordato che all’epoca era Presidente del Consiglio Cossiga (che quindi non poteva non conoscere la verità di quella notte, così come il ministro della Difesa e almeno altre «quindici persone» nelle alte sfere militari), Ciancarella ha ribadito che l’abbattimento avvenne con un missile a testata inerte sparato da un f104 italiano. Di questi missili a testata inerte Priore ha fatto una ricerca scoprendo che erano stati acquistati due lotti: di uno si sa tutto mentre di un altro (6 missili) nessuno sa nulla. Il missile fu sparato da un velivolo sotto diretta determinazione del guidacaccia e in quel caso, al 99%, veniva eseguito da un velivolo statunitense in volo sull’Isola della Maddalena, da circa 14/15 miglia».
Foto di copertina: fonte Associazione Antimafie Rita Atria