In una nota, Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, il magistrato assassinato dalla mafia nel 1992, ha espresso una forte e accorata critica nei confronti del “Decreto Sicurezza” approvato dal Consiglio dei Ministri.
Borsellino definisce questo provvedimento “un attentato ai principi fondamentali della nostra Costituzione”, sottolineando come la sua entrata immediata in vigore rappresenti una preoccupante esclusione del dibattito parlamentare e democratico.
La denuncia di Borsellino evidenzia in particolare l’estrema gravità della concessione ai servizi segreti della facoltà di operare con poteri straordinari, inclusa la possibilità di compiere azioni criminose. “Quello che fino ad oggi hanno fatto questi servizi, come l’istigazione e la partecipazione alle stragi, sarà oggi coperto dalla legge”, denuncia con amarezza Borsellino, aggiungendo che tali servizi segreti saranno tenuti a rispondere esclusivamente al capo del governo.
Questo stesso presidente del consiglio, a cui viene data la facoltà anche di autorizzare componenti dei servizi a guidare associazioni terroristiche e commettere omicidi ha detto che il provvedimento è stato emanato come decreto e non discusso in parlamento per questioni di urgenza e per rispondere alle aspettative dei cittadini.
Salvatore Borsellino paragona duramente il provvedimento al periodo fascista, affermando che tale decreto è “peggio dell’OVRA e del ventennio fascista”, evocando chiaramente un’ombra autoritaria sul presente istituzionale italiano.
Mi vergogno di essere cittadino di uno stato guidato da un sistema di potere che si sta rivelando peggiore del regime fascista.
L’appello rivolto dalle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi alle più alte cariche dello Stato, tra cui il presidente del Senato e il presidente della Repubblica, è rimasto senza risposta. Un silenzio istituzionale che Borsellino denuncia con forza, rimarcando una profonda vergogna personale per uno Stato in cui si avverte sempre più forte il rischio di una deriva antidemocratica.
Infine, Borsellino ribadisce la sua ferma convinzione personale circa il coinvolgimento diretto di apparati deviati dello Stato nella realizzazione delle stragi mafiose, inclusa quella di Via D’Amelio, sostenendo che suo fratello Paolo avesse intuito e scoperto verità scomode che avrebbero accelerato la sua uccisione e determinato la sparizione della sua famosa agenda rossa.
Non ne ho le prove e nessuna sentenza lo ha finora mai affermato con sicurezza ma sono fermamente convinto che questi servizi a cui viene oggi data, per legge, la facoltà di delinquere e di uccidere, sono quelli che hanno partecipato alla preparazione e all’esecuzione delle stragi di Via D’Amelio e di Capaci, e non soltanto di quelle.
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