“Per realizzare una vera democrazia è urgente e necessario opporsi al pensiero unico”, scrive Guarnera. E ha ragione: oggi, più che mai, siamo di fronte a una realtà in cui l’omologazione culturale si impone come forma di dominazione dolce, invisibile, ma potentissima.
Il sistema: coscienze sedate e consumatori obbedienti
Secondo l’avvocato, il sistema di potere globale punta alla manipolazione delle coscienze, e lo fa servendosi degli strumenti più sofisticati della modernità: non i manganelli, ma gli spot; non la censura, ma il bombardamento simbolico. La pubblicità, la televisione, i social media: tutto concorre a modellare un inconscio collettivo docile, pronto a reagire in modo prevedibile, spesso irrazionale.
La politica, afferma Guarnera, lavora per massificare il consenso, ridurre la molteplicità del pensiero umano in una moneta unica di approvazione automatica. Non importa più convincere, ma sedurre, suggestionare, emozionare. Come nel marketing, dove il consumatore non sceglie: desidera ciò che gli è stato insegnato a desiderare.
Il linguaggio della paura, la politica del pathos
Il parallelo tra consumo e voto è inquietante ma preciso: l’elettore è oggi un target pubblicitario, non un cittadino pensante. La politica si fa spettacolo, emozione, fiction. Si vota per paura, per commozione, per senso d’identità tribale. Non più per un programma, ma per un sentimento.
Il risultato? Il dilagare della propaganda, l’eclissi dell’argomentazione. “Per controllare il consenso occorre manipolare gli istinti e le emozioni impedendo di ragionare”, scrive Guarnera. Una diagnosi lucida che richiama alla mente la scuola di Francoforte e i suoi studi sulla “personalità autoritaria”.
Le lucciole non ci sono più: il grido pasoliniano
C’è un passaggio nel testo che richiama un’immagine potentissima: “Pier Paolo Pasolini verificò ‘la scomparsa delle lucciole’, credo si possa affermare che oggi è scomparso il ragionamento critico”. È un colpo allo stomaco, un accostamento poetico e amaro. Le lucciole, per Pasolini, erano il segno della vita fragile, autentica, spirituale che il neocapitalismo stava sterminando. Oggi, quella luce intermittente è diventata un’eco lontana del pensiero critico, sostituito da slogan, meme, indignazione a comando.
E insieme al ragionamento, sembrano essere scomparsi anche i giornalisti e gli intellettuali. “Quasi tutti a libro paga del potere di turno”, scrive Guarnera con una rabbia trattenuta, ma evidente. E con un’ironia amara: “Poveretti, come li compatisco: hanno una famiglia da mantenere!”
Contro il pensiero unico, serve coraggio intellettuale
Questa nota, che potrebbe sembrare cinica, è invece un invito alla resistenza culturale. Una richiesta implicita a recuperare l’autonomia del pensiero, a difendere lo spirito critico come bene comune, a rifiutare il linguaggio imposto.
In un’epoca in cui “tutti dicono la stessa cosa con parole diverse”, pensare con la propria testa è l’atto più rivoluzionario. Ed è forse questo che l’avvocato Guarnera ci vuole dire, senza enfasi, ma con urgenza: una vera democrazia non può nascere senza dissenso, senza intellettuali liberi, senza coscienze sveglie.
E le lucciole, chissà, potrebbero anche tornare. Ma solo se qualcuno ricomincerà ad accendere il pensiero.