Ogni 21 marzo, ogni 23 maggio,
ogni 19 luglio, torna il miraggio.
Fiori sul palco, sguardi composti,
ma dietro le quinte: sorrisi nascosti.
Targhe lucide, parole già pronte,
letto un discorso, ognuno si smonta.
Scritti da chi tace quando c’è da lottare,
ma ama la scena per farsi fotografare.
Via D’Amelio puzza ancora di bruciato,
Falcone esplode in un Paese rassegnato.
Lea Garofalo arde in un bidone isolato,
Peppino urla ancora, ma resta ignorato.
Si piangono i morti in diretta e in posa,
mentre chi denuncia lo avvelenano a dosi.
Applausi impacchettati, frasi da robot,
e la verità affonda sotto un tappeto di chiodi.
Testimoni di giustizia, vite sbranate,
dallo Stato usati, poi abbandonati.
Senza scorta, né casa, né protezione,
ma ai convegni brindano alla Costituzione.
Legalità? Parola svuotata,
lucidata dai corrotti e poi sbandierata.
Un alibi in giacca, col nodo ben stretto,
una maschera d’oro sul volto perfetto.
Alpi, De Mauro, Siani, Rostagno,
spenti nel silenzio, coperti d’inganno.
Francese colpito, lasciato morire,
e chi li ricorda non sa che vuol dire.
E la Commissione Antimafia? Parla e scompare,
convoca gli amici, ma chi denuncia può aspettare.
Non ascolta, non indaga, non muove una scheda,
ma applaude convinta davanti alla telecamera accesa.
L’antimafia oggi? Una scalata leggera,
una medaglia lucida da esporre fiera.
Chi lotta davvero, finisce nel fango,
muore ogni giorno, nel silenzio più strano.
Allora basta. Finite di recitare onore,
di calpestare i morti col tacco e l’odore.
Smettetela di usare il sangue versato,
per rifarvi la faccia davanti allo Stato.
Smettetela di ucciderci due volte al minuto,
con le mani pulite e il silenzio assoluto.
Chi non ha mai rischiato taccia, e si levi,
perché la memoria non è roba per pavidi e servi.
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