“Io, il mio discorso l’ho fatto.”
Così si congedò Giacomo Matteotti dalla Camera dei Deputati il 30 maggio 1924, dopo aver pronunciato quello che sarebbe stato il suo testamento politico e morale. Non un discorso, ma una denuncia. Non un dibattito parlamentare, ma un atto di accusa lucido e coraggioso contro la nascente dittatura fascista.
Oggi, a cent’anni di distanza, quelle parole risuonano con una potenza inquietante, in un’Italia che assiste, ancora una volta, al restringimento degli spazi di libertà, all’aggressione verso la stampa libera, alla criminalizzazione del dissenso e alla nostalgia, più o meno mascherata, per “l’uomo forte”.
«Si presentano delle liste uniche, si fanno votare col terrore, col bastone e con la rivoltella».
Il deputato socialista non si limitò a evocare l’aria pesante che si respirava nel Paese: la documentò, la elencò, la mise agli atti della Repubblica (ancora lontana) come una prova storica contro la barbarie.
«Le elezioni non sono state libere. In molte parti d’Italia gli elettori sono stati percossi, bastonati, talora uccisi».
Oggi non ci sono più le camicie nere nelle piazze, ma c’è chi attacca i giornalisti, delegittima le ONG, irride la magistratura e usa la paura come leva del consenso.
Cambiano i mezzi, ma l’intimidazione resta. E risuonano attuali le parole di Matteotti contro il potere che si maschera da legalità per schiacciare i diritti:
«Chi è al potere ha la responsabilità di rispettare le leggi e le istituzioni. Ma qui si calpestano tutte le libertà civili».
Nel 2025, un secolo dopo, la libertà di stampa è sotto pressione. Si invocano querele temerarie, si tagliano fondi all’informazione pubblica non allineata, si delegittimano le inchieste giornalistiche. Matteotti sapeva che la verità, per chi comanda, è pericolosa. Per questo disse, con una lucidità che ancora brucia:
«Tutti sanno che queste elezioni si sono svolte sotto la minaccia e la violenza. Eppure si vuole far credere che siano regolari!»
Un secolo fa, Matteotti denunciava l’abuso di potere, la corruzione morale del potere, l’uso delle istituzioni per scopi personali. Oggi, chi denuncia viene tacciato di antipatriottismo, di “odio ideologico”, di “essere contro l’Italia”. È il rovesciamento della realtà: non chi chiede giustizia, ma chi la calpesta andrebbe fermato.
«Io parlo non per odio, ma per amore della verità. Non per partito, ma per onestà verso il mio Paese».
Il 10 giugno 1924, Matteotti fu rapito e ucciso da sicari fascisti. Il suo corpo venne ritrovato due mesi dopo. Ma il suo spirito non è mai morto. Ancora oggi, davanti a ogni legge liberticida, a ogni manganello facile, a ogni tentativo di riscrivere la storia a uso e consumo del potere, ci resta la sua voce.
Una voce che non tremò mai, nemmeno sapendo di essere condannata.
Una voce che ci ricorda cosa significa davvero servire la democrazia: parlare, anche quando parlare costa la vita.
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