Le vittime non vedranno mai più la luce del sole, né sentiranno le carezze dei loro familiari; non potranno mai più sorridere, perché Giovanni Brusca, soprannominato in lingua siciliana “u verru” (il porco) o “lo scannacristiani” per la sua ferocia, ha ucciso e distrutto le loro vite.
Giovanni Brusca è un uomo libero. Il 31 maggio, appena due giorni fa, gli è stata revocata la sorveglianza speciale. Si trova fuori dal carcere dal 31 maggio 2021, dopo aver trascorso in detenzione 9.142 giorni, che equivalgono a poco più di 25 anni.
Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Jato, fedelissimo di Totò Riina, fu arrestato il 20 maggio 1996 in una villetta vicino ad Agrigento. Decise la via del “pentimento” e nel 2000 iniziò a collaborare con lo Stato.
Sua fu la mano che azionò il detonatore a Capaci, causando la morte di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di tre uomini della scorta. Lo aveva già fatto con Rocco Chinnici.
Brusca uccise il piccolo Giuseppe Di Matteo, di 14 anni, poi sciolto nell’acido. La sua unica colpa era quella di essere figlio di un collaboratore di giustizia. Lo stesso Brusca che, a detta di altri pentiti, si recò a Marano, ospite del clan Nuvoletta, e tenne dei “corsi” su come sciogliere un corpo nell’acido.
Brusca racconta: «Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento».
Brusca oggi è un uomo libero.