9.142 giorni di detenzione. Più di 25 anni dietro le sbarre. E oggi, Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Jato, l’uomo che uccise Giovanni Falcone, è ufficialmente un uomo libero, senza più alcun vincolo.
Il 31 maggio 2025, la Corte d’Appello di Roma ha revocato la sorveglianza speciale. Dal 31 maggio 2021, Brusca era già uscito dal carcere. Ora anche quell’ultima ombra della giustizia è caduta. La notizia scuote le coscienze, risveglia ferite mai rimarginate.
Classe 1957, fedelissimo di Totò Riina, arrestato il 20 maggio 1996 in una villetta nei pressi di Agrigento, Brusca è uno dei nomi più noti e odiati della storia criminale italiana. Lo chiamavano ‘u verru, “il porco”, per la sua ferocia e brutalità.
Il 23 maggio 1992 è sua la mano che preme il detonatore a Capaci, dove persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Montinaro, Schifani e Dicillo. Ma non solo.
“Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso.”
— Giovanni Brusca
Il delitto più infame: Giuseppe Di Matteo
Brusca è responsabile anche del sequestro, della tortura e dell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, appena 14 anni, figlio del collaboratore Santino Di Matteo. Il ragazzo fu segregato per 779 giorni, poi ucciso e sciolto nell’acido.
Una barbarie senza redenzione. E ancora oggi, Brusca è ricordato anche per aver tenuto “lezioni” su come sciogliere i corpi nell’acido, ospite dei Nuvoletta a Marano, secondo quanto riferito da altri pentiti.
Nel 2000, Brusca sceglie di collaborare con la giustizia. Una scelta che gli consente sconti di pena, la protezione, la semi-libertà. Il “patto col diavolo” — come fu definito da molti — che ha permesso allo Stato di svelare retroscena fondamentali sulla mafia corleonese e le stragi.
Ma la domanda rimane: può un uomo che ha ucciso centinaia di persone e sciolto un bambino nell’acido tornare libero?
Libero, ma non innocente
La libertà di Giovanni Brusca non cancella le sue colpe, né attenua la portata dei suoi crimini. È una libertà garantita dal sistema, certo. Ma è anche un colpo allo stomaco per chi non ha mai avuto giustizia piena, per chi ha perso un figlio, un marito, un amico.
La libertà di Brusca è un monito. Un campanello d’allarme per una memoria che non può e non deve assopirsi. Perché la legalità non è vendetta, ma la verità non può diventare oblio.
Conclusione: possiamo davvero chiamarla “giustizia”?
La revoca della sorveglianza speciale chiude formalmente la partita giudiziaria di Brusca. Ma la ferita resta aperta. Non solo per i familiari delle vittime, ma per un Paese che ha costruito la sua democrazia anche sul sangue dei magistrati assassinati dalla mafia.
Giovanni Brusca è un uomo libero. Ma non sarà mai un uomo giusto.