Il rapporto che ha segnato una delle fasi più belle e memorabili della storia recente interista si è ufficialmente concluso, portando con sé un’eredità tecnica e umana difficilissima da dimenticare.
Era l’estate 2021 quando Inzaghi, dopo aver trascorso 5 anni alla guida della Lazio, decise di accettare la panchina nerazzurra. Gli obiettivi non erano semplici: mantenere l’Inter competitiva dopo lo Scudetto e in un contesto economico complicato, con le cessioni di Hakimi e Lukaku necessarie per fare cassa. Il mister si è adoperato subito nel compito con intelligenza, rivisitando il 3 5 2 di Conte, rendendolo più fluido e meno ossessivo, conquistando fin da subito la fiducia di tutto il contesto.
La prima soddisfazione arrivò subito: la conquista della Supercoppa Italiana a gennaio, fu il primo tassello. In Europa, l’eliminazione a testa alta contro il Liverpool, ha dato la consapevolezza che l’Inter non era più solo una squadra reattiva, ma anche dominante nel palleggio e nella mentalità. A maggio seguì la Coppa Italia, con lo Scudetto perso al fotofinish contro il Milan.
La stagione seguente, il copione in ambito nazionale è lo stesso: l’accoppiata Supercoppa-Coppa Italia portate a casa e terzo posto in campionato, ma in Europa arriva la finale di Champions League contro il Manchester City. Sconfitta amara, ma sfida giocata alla pari contro gli uomini di Guardiola.
Il capolavoro è stato realizzato durante la stagione 2023-2024: un campionato vinto con autorità, una macchina talmente perfetta che sapeva oscillare tra bellezza e concretezza. In Europa il cammino si è interrotto agli ottavi per mano dell’Atletico Madrid, che riuscì a qualificarsi ai quarti di finale dopo i calci di rigore. Inzaghi venne celebrato come uno dei migliori allenatori del momento.
La stagione appena conclusa è stata il punto più alto e al contempo il più doloroso. Fino all’ultimo la squadra è stata in corsa per vincere 3 trofei, ma non è arrivata nessuna vittoria finale. La seconda finale di Champions persa in 3 anni, in particolare, ha lasciato cicatrici profonde. Se la sconfitta col City fu onorevole e dignitosa, quella contro il PSG è stata valutata come un fallimento tattico e motivazionale. Come si vociferava da settimane, alcuni rapporti raffreddati, divergenze sul mercato, la mancanza di stimoli e una stagione senza successi, hanno reso più traballante la stabilità del progetto. La separazione, definita “consensuale”, ha più il sapore di una scelta obbligata e liberatoria per le parti in causa.
Inzaghi conclude il suo mandato con una bacheca di tutto rispetto: 1 Scudetto, 2 Coppe Italia, 3 Supercoppe Italiane, e 2 finali europee raggiunte. Oltre i numeri, lascia un’identità definita, una squadra che ha saputo evolversi, dare spettacolo e che ha compensato attraverso le idee, la mancanza di risorse economiche rispetto ai top club.
Il destino del tecnico sembra diretto verso l’Arabia Saudita. Per l’Inter, invece si apre un nuovo percorso: servono stimoli nuovi, idee fresche, un organico ringiovanito e un allenatore in grado di reggere il peso di un’eredità così pesante.
Infatti a Milano, Inzaghi non ha semplicemente allenato. Ha costruito. Ha sbagliato, si, ma ha reso l’Inter un modello di equilibrio tra risultati e gioco. E questo, nel calcio attuale, è forse il successo più incredibile.
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