Legalità di facciata. Antimafia da passerella. Spionaggio ai danni dello Stato.
Il cosiddetto “sistema Montante” non è solo un’inchiesta giudiziaria. È la rappresentazione plastica di una malattia profonda del potere in Italia, in cui i codici della corruzione si travestono da valori e la retorica dell’antimafia diventa paravento per interessi inconfessabili.
Antonio Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia e paladino della legalità d’impresa, è stato per anni osannato da politici, magistrati, giornalisti, imprenditori e istituzioni. Il suo nome era sinonimo di “nuova Sicilia”, di rinnovamento etico, di lotta alla criminalità organizzata. Un simbolo. Un testimonial della legalità.
E invece, dietro le luci delle conferenze e delle medaglie, operava un sistema opaco e pervasivo, costruito su dossieraggi illegali, controllo dell’informazione, pressioni politiche e relazioni inquietanti con i servizi segreti.
Montante, l’uomo che spiava lo Stato
L’inchiesta della Procura di Caltanissetta ha ricostruito una rete tentacolare.
Montante si faceva consegnare informazioni riservate, schede investigative, tabulati telefonici, rapporti su magistrati, giornalisti e persino uomini delle forze dell’ordine. Il tutto grazie a una fitta trama di complicità, che comprendeva ex poliziotti, funzionari, membri delle istituzioni e addirittura ambienti della stessa Confindustria.
Il suo “archivio riservato”, scoperto durante le perquisizioni nella sua villa-bunker, era una centrale parallela di intelligence privata, usata per eliminare nemici, neutralizzare critici, accreditarsi come interlocutore affidabile del potere romano.
Legalità come brand: quando l’antimafia serve il sistema
Il vero scandalo non è solo ciò che Montante faceva, ma ciò che Montante rappresentava.
Era invitato a ogni evento sulla legalità, riceveva riconoscimenti, sedeva accanto a Presidenti, ministri, vertici della magistratura, uomini della (falsa) legalità. Il suo nome veniva pronunciato come esempio positivo anche da figure autorevoli delle istituzioni, che oggi fingono di non conoscerlo.
In un’Italia in cui l’etichetta “antimafia” viene spesso usata come garanzia morale assoluta, il sistema Montante dimostra quanto sia facile infiltrare la narrazione della legalità per finalità di potere.
La sua parabola è il simbolo di un’antimafia deviata, che usa la lotta alla mafia per rafforzare interessi personali, intimidire avversari e costruire reti di controllo sociale. Un cortocircuito pericoloso, che mina la fiducia nei valori democratici.
Dossier, connivenze e silenzi imbarazzanti
Tra gli elementi più inquietanti emersi dalle indagini c’è il completo silenzio o addirittura l’appoggio di molte figure istituzionali che, pur avendo frequentato o sostenuto Montante, si sono poi eclissate.
Nessuna commissione parlamentare d’inchiesta, nessun grande editoriale di denuncia, poche ammissioni di colpa. Il sistema Montante, pur essendo stato uno degli scandali più gravi degli ultimi anni, è stato rapidamente rimosso dal dibattito pubblico nazionale.
Una strategia del silenzio che rivela quanto sia scomodo mettere in discussione i salotti buoni, quelli dove si parla di legalità, si fanno selfie con le vittime di mafia, ma si chiudono gli occhi davanti alla verità.
Il “sistema Montante” è uno specchio deformato dell’Italia: un Paese in cui spesso chi urla più forte contro la mafia è il primo a trarne vantaggio. Un Paese in cui la legalità può diventare merce da esibire, e non regola da rispettare. Serve una nuova stagione di verità, in cui la trasparenza sia praticata e non predicata. In cui la legalità torni a essere un fatto, e non una strategia di marketing.
Serve memoria, coraggio, indipendenza. E soprattutto serve denunciare, anche quando è scomodo, anche quando è pericoloso. Perché la vera legalità è quella che si misura nel silenzio delle stanze, non nei riflettori dei convegni.
Aggiornamento: la condanna definitiva per Antonio Montante
Il 22 febbraio 2023, la Corte di Cassazione ha messo il punto definitivo sulla vicenda giudiziaria di Antonio Calogero Montante, ex leader di Confindustria Sicilia e simbolo (ora decaduto) della legalità imprenditoriale.
Un ridimensionamento, ma non un’assoluzione.
Il cuore del “sistema Montante” resta giuridicamente accertato: l’ex paladino dell’antimafia aveva costruito una rete illecita per ottenere informazioni riservate, collezionare dossier e controllare – con metodi da intelligence deviata – figure istituzionali, magistrati, politici, giornalisti e concorrenti scomodi.
Durante il processo, sono emerse anche connivenze inquietanti con alcuni appartenenti alle forze dell’ordine, a conferma del carattere sistemico e strutturato della rete criminale.
Montante ha iniziato a scontare la pena in carcere nell’aprile 2023, dopo la sentenza definitiva. È stato trasferito nel carcere di Caltanissetta, salvo poi ottenere i domiciliari per motivi di salute a fine anno.
E il circo dell’antimafia continua il suo show.
COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA E VIGILANZA SUL FENOMENO
DELLA MAFIA E DELLA CORRUZIONE IN SICILIA