Una strana appropriazione indebita sta avvenendo, anche nel Molise. Dopo l’esito referendario del 2025, la destra molisana e nazionale tenta di intestarsi l’astensionismo popolare, presentandolo come segno di consenso implicito alla propria egemonia politica. Ma i numeri raccontano un’altra verità.
Nel Molise, solo il 29% degli aventi diritto si è recato alle urne, un dato leggermente inferiore alla media nazionale. Di questi, ben il 26% ha votato “Sì” ai referendum promossi sui temi del lavoro, della precarietà, e dei diritti sociali. Si tratta di oltre 44mila voti che, da soli, superano abbondantemente il consenso raccolto da Fratelli d’Italia (11%) e dalla stessa coalizione di destra (23%) nel territorio molisano.
A pesare sull’affluenza, specie nel Meridione e nelle aree interne come il Molise, è stata anche la scelta della Consulta di escludere il quesito sull’Autonomia Differenziata, tema particolarmente sentito nel Sud. Una decisione che ha oggettivamente ridimensionato il significato complessivo del referendum, incidendo sull’interesse e sulla partecipazione di fasce popolari già marginalizzate.
Nonostante l’astensione, i 12 milioni di voti “Sì” a livello nazionale e i dati regionali dimostrano che una parte significativa dell’elettorato esiste, resiste e si esprime. Nel Molise questo segmento rappresenta una potenzialità politica viva, soffocata dalla demoralizzazione e da un sistema maggioritario che ha regalato alla destra il 100% dei rappresentanti in Parlamento, pur senza avere la maggioranza reale tra gli elettori.
Immigrazione e cittadinanza: i limiti della “sinistra compatibile”
Il voto sul quesito relativo alla cittadinanza per i figli di immigrati mostra un dato ancora più problematico: il 36% dei votanti molisani ha espresso un “No”, allineandosi al 35% del dato nazionale. Una percentuale che riflette non solo la presa del discorso reazionario sul senso comune, ma anche le ambiguità e le complicità del centrosinistra, spesso prigioniero di paure elettorali e opportunismi tattici.
Nel complesso, i rapporti di forza elettorali restano sostanzialmente invariati. Ma la vera questione è la passivizzazione di massa: un elettorato lavoratore e popolare scoraggiato, atomizzato, abbandonato da decenni di politiche liberiste, prima di centrosinistra, poi esasperate dalla destra meloniana.
La destra non vince per adesione, ma per assenza di una reale alternativa, per subalternità e rassegnazione, per una sinistra istituzionale che ha rinunciato alla sua vocazione di classe.
Come ha dichiarato Maurizio Landini, bisogna ripartire dai milioni di “Sì”. Ma come, e verso dove? La risposta non può che essere una vertenza generale, una lotta unificata che metta insieme i 18 milioni di salariati e attorno a loro un nuovo blocco sociale antagonista, capace di scuotere l’indifferenza e la paura.
Il Partito Comunista dei Lavoratori – Molise rilancia con forza la necessità di un partito indipendente della classe lavoratrice, capace di ricondurre ogni battaglia immediata a una prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società. Non si tratta solo di fare opposizione. Si tratta di rovesciare il paradigma, di costruire una società in cui a comandare siano i lavoratori e le lavoratrici, non i padroni e i capitalisti.
Solo così si può rompere il circolo vizioso dell’astensione, dell’impotenza e della finta rappresentanza.
Solo così, anche in Molise, la coscienza può diventare lotta, e la memoria azione.