di Salvo Germano
La sua è stata una vita vissuta in un terreno liminale con la consapevolezza che al dolore c’è una soluzione e una dissoluzione insieme. I greci la chiamavano lisi. Quello stesso dolore che aveva commutato in versi e che hanno destinato la propria esistenza alla letteratura e alla musica. Era anche un musicista amatoriale.
Affetto dal 2008 da una forma grave di Parkinson, da 5 anni era costretto a vivere con la peg e ultimamente le sue condizioni di salute si erano aggravate ad un punto di non ritorno.
Si era rivolto alla associazione Luca Coscioni, che da anni lotta per il riconoscimento di una legge nazionale su suicidio assistito. Attualmente in Italia l’eutanasia costituisce reato ed è sanzionabile in base all’art. 579 (omicidio del consensiente) o dell’art. 580 (istigazione o aiuto al suicidio) del Codice Penale.
Il caso di Daniele sta scuotendo le coscienze, in alcune frangie del governo. Sul fine vita, Zaia si dice pronto ad andare avanti con una delibera se non interviene il legislatore statale. Almeno è auspicabile un imminente dibattito in Parlamento, affinché si possa arrivare ad una legge nazionale, che ponga fine alla ineludibile barbaria della sofferenza fisica, nei casi in cui nessuna terapia farmacologica può lenire il dolore e la qualità della vita, nei soggetti il cui destino è già segnato da malattie incurabili.
Una legge che pone dei problemi etici e religiosi di fronte ai quali anche la Chiesa ed il Governo aprano spazi di riflessione.
In Toscana è stata approvata la legge 16/2025 che regolamenta il suicidio medicalmente assistito sul fine vita, ma la lege è stata contestata dal governo che ha presentato un ricorso alla Corte Costituzionale.
Daniele Pieroni, 64 anni, residente a Chiusi in provincia di Siena, aveva scelto di porre fine alle proprie sofferenze, sfruttando tale legge, paladina di valori di civiltà giuridica ed umana il cui contrasto è spesso ideologizzato dalle destre e da una Chiesa chiusa nei suoi fondamenti teologici cristallizzati e amovibili.
Pieroni aveva inviato la richiesta formale all’Asl Toscana il 31 agosto. Lo scorso 22 aprile è poi arrivata la liberatoria e il 17 maggio si è auto somministrato il farmaco che ha dolcemente posto fine ad una vita, il cui senso era poggiato su un calvario ineluttabile non più procrastinabile.
“Arriva un giorno – egli scriveva – in cui/così, senza preavviso/qualcosa viene meno/alla tua costituzione/un arto va per conto suo/e l’altro non gli corrisponde”.
Era nato a Pescara nel 1961 ma si era presto trasferito a Roma. A scuola aveva scoperto la bellezza della poesia di Montale e si era nutrito di quelle grandi letture classiche e contemporanee che rendono grande gli uomini e li destinano ad una sensibilità diversa, fine e proclive alla creatività letteraria e a quella poesia che si fa plasticamente carne, sangue, insomma vita degna di essere vissuta, quella stessa che Pieroni ha scelto autonomamente di abbandonare e di cui i suoi scritti e le sillogi poetiche lo avrebbero sottratto all’oblìo.
Quella di Pieroni è una poesia scevra di ogni verbosità, di pura essenzialità come la sua fede verso Dio. Egli diceva: “ho rielaborato un rapporto con Cristo, che è un esempio”, anche se poi, ha deciso di non seguire la stessa croce che per troppi anni portava come zavorra alle sue spalle. Un’anima in cerca di assoluto, impegnata in un viaggio verso l”’oltre” che diventa l’essenza della sua poetica.
E quell’amore smisurato per Michelangelo a cui aveva dedicato un recital: “Vittoria Colonna e Michelangelo”.
Nel 2021 a Chiusi aveva vinto il premio “Montale Fuori di casa” tributandogli quella raffinatezza e essenzialità poetica unita ad una cultura trasversale e musicale.
Pur essendo riservato non si sottraeva a confronto con la realtà e con prese di posizione nette su temi delicati ed attuali come la morte come scelta di vita, anche se essi si prefigurano in un incontrovertibile ossimoro.