È stata una notte lunga e rovente in Medio Oriente, segnata dal fuoco dei missili, dalle urla dei civili e dalle dichiarazioni incandescenti che echeggiano da Teheran a Gerusalemme, passando per Washington, Londra, Parigi e Roma. Un attacco missilistico senza precedenti ha colpito Israele. I missili iraniani hanno centrato obiettivi civili e militari, provocando almeno tre vittime israeliane e decine di feriti.
Tra le aree colpite, Ramat Gan, sobborgo di Tel Aviv, dove le immagini diffuse mostrano un edificio sventrato, vetri in frantumi e famiglie in fuga. Secondo quanto riportato da Al Jazeera, si tratta della risposta dell’Iran ai raid israeliani contro impianti nucleari e siti militari iraniani, attacchi che avrebbero provocato la morte di almeno 78 persone, tra cui sei scienziati nucleari e diversi comandanti militari di alto rango.
In queste ore drammatiche, una delle poche voci a infrangere il silenzio istituzionale in Israele è stata quella di Yair Lapid, leader dell’opposizione:
“È stata una notte difficile per lo Stato di Israele – ha scritto su X – ma dobbiamo continuare a seguire e rispettare le istruzioni del Comando del Fronte Interno. Sostengo le nostre forze di sicurezza nei loro sforzi per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani.”
Parole che tentano di tenere unito un Paese scosso, mentre il premier Benjamin Netanyahu conferma che le operazioni militari proseguiranno “fino a quando sarà necessario”.
Ma l’attacco iraniano non si esaurisce nei confini israelo-palestinesi. Teheran guarda oltre, e lo fa con tono minaccioso. Secondo l’agenzia Mehr, il governo iraniano ha avvertito Stati Uniti, Regno Unito e Francia:
“Qualsiasi Paese che contribuisca a respingere gli attacchi iraniani contro Israele sarà soggetto a attacchi da parte delle forze armate iraniane, comprese le basi militari nei Paesi del Golfo Persico, le navi e i mezzi nel Mar Rosso e nelle acque regionali.”
Un’escalation diplomatica e militare che rischia di trasformarsi in un conflitto su scala regionale. Ad alimentare la retorica del confronto, arrivano le parole di Fatemeh Mohajerani, portavoce del governo iraniano:
“Era necessario adottare misure punitive in risposta all’atto terroristico e brutale del regime sionista. Questo attacco era essenziale per ripristinare il nostro orgoglio nazionale e rivendicare i legittimi diritti del nostro popolo. Naturalmente, tali misure continueranno ovunque e ogniqualvolta sarà necessario.”
Una dichiarazione che, nella sua lucidità glaciale, disegna lo scenario di una guerra a puntate, senza esclusione di colpi. Nel mezzo di questo teatro bellico, risuona anche l’appello di Papa Leone XIII:
“Seguiamo con grande preoccupazione quanto sta accadendo. Rivolgo un appello alle autorità di Iran e Israele: agite con ragione, non con spirito di vendetta. Proseguite il dialogo, per evitare nuove sofferenze alla popolazione civile.”
A rincarare la dose di allarme, ma anche a placare alcune paure, arriva la comunicazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). L’organismo delle Nazioni Unite ha confermato che gli impianti nucleari di Esfahan sono stati più volte colpiti il 13 giugno, ma non si è verificato alcun aumento nei livelli di radiazioni esterne.
Mentre il mondo scorre tra social, pubblicità e festival, le bombe cadono e i morti aumentano. La realtà sembra partorita da una sceneggiatura di Kubrick, ma stavolta il Dottor Stranamore è reale. Ha tanti nomi, molte divise, e gioca con il mondo come con una scacchiera.
Israele e Iran sono sull’orlo di una guerra totale. Gli Stati Uniti osservano con ambiguità. L’Europa tentenna.
Il tempo per la diplomazia si assottiglia, mentre il popolo — come sempre — resta sotto le macerie.