La vicenda giudiziaria che vede protagonisti il Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Gaetano Galvagno e l’Assessora Elvira Amata, va esaminata, con serenità, sotto un duplice profilo.
Sul piano giuridico è ampiamente noto che l’articolo 27 della Costituzione stabilisce che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva“.
Nella fattispecie Galvagno e Amata ancora non sono imputati, ma solo indagati.
Le indagini a loro carico devono completarsi e possono avere due conclusioni diverse: richiesta di archiviazione oppure di rinvio a giudizio.
Nel secondo caso sarà il Giudice della Udienza Preliminare a decidere l’eventuale “non luogo a procedere” oppure il rinvio a giudizio del Tribunale.
E anche nel caso di condanna, sia di primo che di secondo grado, dovranno essere considerati innocenti.
Saranno colpevoli solo dopo l’eventuale giudizio di Cassazione.
Successivamente l’articolo 54 della nostra Costituzione stabilisce che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore“.
Indubbiamente chi ha subìto una condanna definitiva, sia penale che per danno erariale, è venuto meno a tale dovere e dovrebbe trarre le dovute conclusioni.
Peraltro per talune condanne la decadenza dall’incarico pubblico ricoperto è automatico in quanto previsto per legge.
Questo, in estrema sintesi, il profilo giuridico.
Ma vi è un altro importante profilo, sovente trascurato, quello ETICO, che prescinde dalle condanne più o meno definitive.
È accettabile che un personaggio pubblico, con importanti incarichi, possa rimanere al proprio posto invocando il principio dell’art. 27?
Sul piano strettamente giuridico certamente si, su quello morale certamente no.
Diceva Paolo Borsellino, al quale molti dicono di ispirarsi, che quando un personaggio pubblico, politico o amministratore, viene anche solo sfiorato dal sospetto di avere commesso illegalità, deve fare un passo indietro, a prescindere dalle sentenze della Magistratura.
E se non lo fa spontaneamente dev’essere il suo partito a farglielo fare.
Concordo totalmente con il pensiero di Borsellino, che ho avuto l’opportunità di conoscere e con il quale ho parlato, anche di tale argomento.
A questo punto tutto è affidato alla sensibilità etica di chi è coinvolto in vicende giudiziarie, ancorché non definitive.
Dalle decisioni che vengono prese si valuta la spessore umano e politico di ciascuno.
“Chi ha orecchie per intendere, intenda!“, è scritto nel Vangelo.