In questo tempo segnato da tensioni crescenti, da guerre mascherate da operazioni di pace e da un clima sociale sempre più sfaldato, serve uno sforzo collettivo per fermarsi e riflettere con lucidità. Non possiamo più permetterci di vivere trascinati dal flusso impazzito di un’economia che produce ricchezza per pochi e distruzione per molti.
La crisi che viviamo non è un semplice sbandamento del presente. È l’effetto diretto di un modello economico fallimentare, quello neoliberista, che si regge su un dogma tanto semplice quanto suicida: la crescita infinita in un mondo dalle risorse finite.
Questo paradigma, che misura il successo con l’accumulo di potere e denaro, ci ha già portato sull’orlo del baratro. È il motore:
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della crisi ecologica che sta devastando il pianeta,
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della crisi economica del 2008, le cui conseguenze continuano a pesare sulle spalle dei cittadini,
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della globalizzazione delle disuguaglianze, dove una minoranza detiene tutto e la maggioranza sprofonda nella precarietà.
Nel nome del profitto si alimentano conflitti per il controllo delle materie prime e delle fonti energetiche. L’espansione verso l’Est, i venti di guerra in Ucraina, il caos calcolato in Medio Oriente, il sionismo d’acciaio in Palestina: tutto ha un denominatore comune. La logica del dominio economico.
Il gigante cinese fa paura non per motivi ideologici, ma perché è un concorrente ingombrante sul piano industriale e tecnologico. Ed ecco che l’Occidente corre ai ripari, aumentando le spese militari fino al 5% del PIL, come chiesto dagli Stati Uniti. I soldi non ci sono per la sanità, per l’istruzione, per il reddito di cittadinanza, ma saltano fuori – come per magia – per finanziare nuove guerre e nuove armi.
Siamo nel cuore di una crisi sistemica, eppure fingiamo che sia normale. Ma non c’è nulla di normale in un mondo dove la finanza ha preso il posto della politica, dove le multinazionali dettano le leggi, e dove i popoli non decidono più nulla.
Serve un cambio radicale. Un nuovo modello economico basato su valori umani, sociali, ecologici. Un modello che riconosca i limiti della crescita, che investa nel benessere collettivo, che riconosca nella cooperazione, non nella competizione, l’unico futuro possibile.
I prossimi conflitti non saranno più guerre convenzionali, ma catastrofi totali. E allora bisogna dire le cose come stanno: questa economia uccide, questo sistema alimenta la guerra, distrugge il pianeta, e condanna milioni alla fame e all’esclusione.
La politica deve riconquistare il suo ruolo centrale, smettendo di essere ancella della finanza. Occorrono luoghi di pensiero, di elaborazione, di opposizione culturale e strategica. Occorrono visionari concreti, capaci di immaginare e costruire un’altra via.
Se vogliamo sopravvivere come specie, dobbiamo superare la logica del più forte, il darwinismo sociale che plasma i rapporti umani come una giungla. Dobbiamo scegliere la cooperazione sulla competizione, la pace sulla guerra, la cura sulla distruzione.
Questa è la vera partita per il futuro. E si gioca ora.