Abbiamo già raccontato la storia di Ivan Baio ("Baio: una storia di ribellione"), un lavoratore di una multinazionale del settore petrolifero, presso la sede di Siracusa.
Dopo aver denunciato alcuni colleghi per spaccio e uso di droga e sigarette di contrabbando dentro e fuori l'azienda, per Baio è iniziato un calvario umano e giudiziario: senza lavoro, senza una casa. Ivan è vittima di minacce e di violenza da parte dei clan, ma anche vittima di mobbing da parte della sua azienda che non lo tutela e lo licenzia.
Lo abbiamo ricontattato dopo quattro mesi per sapere cosa è cambiato.
Baio, dopo le denunce, sono iniziati per lei molti problemi economici e un lungo percorso processuale:cosa è accaduto in questi mesi?
«La situazione della mia famiglia è disperata: dopo un anno senza casa ho trovato finalmente una abitazione dove far vivere i miei tre figli, mia moglie e mia madre. Sopravviviamo grazie all’aiuto della Caritas e al reddito di cittadinanza, ma con le difficoltà di chi non trova un lavoro per prendersi cura e mantenere la propria famiglia.»
Ci parli dei procedimenti in corso su vari fronti: il licenziamento, le minacce subite, l'accusa nei suoi confronti di violenza privata per le manifestazioni che lei ha tenuto di fronte all'azienda. A che punto sono i processi?
«Di pochi giorni fa è l'ennesimo rinvio dell'udienza nel procedimento a mio carico per aver manifestato nel piazzale di fronte alla Isab mentre chiedevo il reintegro nel mio posto di lavoro; in quel periodo era in corso una trattativa con l’azienda e dopo otto giorni di presidio sono stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale. Tuttavia questa accusa è decaduta grazie alle immagini di un video girato con il cellulare da mia moglie che era lì con me e che smentisce assolutamente la circostanza della resistenza. Il 30 ottobre ci sarà invece l'udienza del processo istruito dalla Dda di Catania a carico di Luca Vella, Concetto Cassia e Massimiliano Riani per le minacce nei miei confronti, aggravanta dal metodo mafioso. C’è poi la causa lavorativa con l'appello presentato al tribunale di Catania, contro il mio licenziamento da parte della Isab.»
Signor Baio cosa non sta funzionando in questo percorso per arrivare alla verità e ottenere giustizia a seguito delle sue denunce?
«Direi che non sta funzionando niente, a partire dall'azienda che non ha tutelato me e che dopo avermi abbandonato per aver denunciato, vorrebbe farmi passare per pazzo; la Isab ha licenziato me e lasciato in organico quelli che io ho portato in tribunale, come Luca Vella. Non funziona la politica, sia locale che nazionale, perché non aiuta i cittadini che si ribellano alle mafie. I rappresentanti delle istituzioni spesso si girano dall'altra parte abbandonando quelli che denunciano come ho fatto io. Non funzionano i sindacati che non svolgono il proprio ruolo e non tutelano i lavoratori in difficoltà. In questa mia storia neanche gli avvocati hanno funzionato: dal 2014 ne ho cambiati cinque e nessuno di loro ha mai lottato per vincere la causa, tutti hanno provato ad ottenere un accordo con l'azienda.
E poi la giustizia: presso il Tribunale di Siracusa è scomparso il mio fascicolo dalla cancelleria e guarda caso nessuno (neanche i miei legali) ne hanno una copia. Un fascicolo nel quale era contenuto un documento importantissimo che riportava una mia firma falsa, in calce ad un procedimento disciplinare avvenuto precedentemente al licenziamento da parte della Isab Lukoil e che quindi mi avrebbe aiutato moltissimo nella causa. E poi come si può credere in una giustizia che aspetta anni per tutelare chi, dopo aver denunciato la mafia, non ha più niente per sopravvivere?»
Lei ha molti video, registrazioni, messaggi vocali: materiale che dimostra tutto ciò che dice e anche la correttezza dei suoi comportamenti. Vorrebbero tuttavia farla passare per un esaltato, per “pazzo” e rendere cosi poco credibile la sua persona: cosa risponde Ivan Baio?
«Ho tutto documentato, ho le prove delle mie denunce contro il clan Bottaro-Attanasio. Ho la documentazione delle trattative con l'azienda che più volte in questi anni, mi ha offerto somme importanti di denaro chiedendomi in cambio di ritirare le mie denunce e di tacere. Ho subito ogni tipo di violenza sia fisica che verbale, ho perso un lavoro che mi garantiva uno stipendio di circa 40 mila euro l'anno e non ho più niente. Ma so di aver fatto la cosa giusta denunciando e lo rifarei. Ho anche la dichiarazione della mia sanità mentale, certificata dai sanitari della clinica Devoto di Milano specializzata per le vittime di mobbing sul luogo di lavoro e dove mi sono recato volontariamente: è tutto scritto. L'azienda dove lavoravo non mi ha tutelato per aver denunciato anzi mi ha denigrato, demansionato, infangato. Ha deciso di sacrificare me per tutelare chi delinque dentro e fuori l'azienda. Così facendo mi ha tolto il lavoro e ha costretto tutta la mia famiglia a vivere una esistenza difficile, fatta di sacrifici soprattutto per i miei tre figli.»
Chi denuncia come lei troppo spesso perde tutto ed è costretto ad iniziare un percorso lungo e doloroso dentro i tribunali per difendersi. Lo rifarebbe?
«Assolutamente sì, sempre e comunque: occorre denunciare per togliere questa coltre di fumo che soffoca il paese, ma lo Stato deve tutelare chi denuncia e le istituzioni devono restare al fianco dei suoi cittadini più onesti e coraggiosi. I risultati spesso arrivano: pochi giorni fa ci sono stati numerosi arresti che hanno interessato proprio il clan Bottaro-Anastasio,ma non basta di certo una retata per porre fine a tutto questo.»
Cosa si augura per il suo futuro?
«La cosa che più desidero è un passo indietro da parte della mia azienda e di essere reintegrato nel mio posto di lavoro perché sono stato licenziato ingiustamente. Chiedo solo questo: ritornare a lavorare per mantenere la mia famiglia, lo merito.»
Ivan ci dice che l'eurodeputato del Movimento 5 stelle Dino Giarrusso sta seguendo la sua situazione ed è umanamente vicino alla famiglia Baio.
Speriamo che qualcosa si concretizzi e che non restino soltanto parole di vicinanza e di stima:il supporto morale è importante ma non sufficiente per dare da mangiare a tre bambini.
Le vittime di mafia che trovano il coraggio di denunciare all'autorità giudiziaria il malaffare che avvelena i nostri territori e l'economia nazionale ,devono essere affiancate e supportate dalle istituzioni.
La storia di Ivan Baio non è una storia isolata: sono tantissime le vicende di cittadini che denunciano e poi restano soli di fronte ai criminali, ai mafiosi perché abbandonati dalle istituzioni.
Raccontare queste storie è necessario per creare un fronte comune contro il malaffare e per scalfire una mentalità diffusa in base alla quale la convivenza con delinquenza e criminalità si fa normalità. Non lo vogliamo accettare.
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2020-09-24 19:01:23
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