Si chiama Ivan Baio. Aveva un ottimo lavoro presso una multinazionale del settore petrolifero. Poteva chiudere gli occhi, ma non l’ha fatto: ha denunciato traffici di droga, contrabbando di sigarette, estorsioni. Ha conosciuto da vicino, sulla propria pelle, la violenza e le minacce della mafia a Siracusa.
Si è imbattuto nei loschi affari del clan Bottaro-Attanasio e da cittadino onesto non si è piegato alla malavita e ha denunciato tutto. Ha denunciato all’autorità giudiziaria e ai suoi superiori, ai vertici della Isab (la multinazionale), convinto che sarebbe stato tutelato. «Ero certo che avrebbero allontanato i dipendenti infedeli che commettevano reati dentro e fuori l’azienda».
Ma questo è un paese strano. Baio ha denunciato mafiosi e trafficanti. Il risultato ottenuto è stato il licenziamento e l’inizio di una serie di procedimenti che lo vedono interessato nella duplice veste di denunciato e denunciante.
Adesso senza un lavoro, con tre bambini piccoli e totalmente solo. Baio e la sua famiglia vivono anni difficili, per la mancanza di una occupazione e per la totale assenza di risposte da parte delle istituzioni.
Non ha mai rinunciato all’idea di ottenere giustizia, come non ha mai rinunciato all’intento di riprendersi quel posto di lavoro che gli è stato sottratto.
La famiglia Baio è costretta, anche, a subire gravissime minacce da parte di soggetti che palesemente (o dietro ad un falso profilo social) mostrano di conoscere sia Baio che i suoi spostamenti.
L’uomo, in questi anni ha chiesto giustizia, ha esposto fatti, ha documentato le sue denunce. Si è rivolto alla giustizia, alla politica, al settore dell’informazione. Non sono arrivate risposte, di nessun tipo. «Non ha risposto il Prefetto di Siracusa Giuseppe Castaldo, non ha risposto il Questore Corrado Basile, non risponde la giustizia che, dopo oltre 20 denunce, continua a trattare ogni esposto singolarmente, senza aver mai lavorato ad un filone unico di inchiesta.»
Nel mese di luglio una automobile, dello stesso modello di quella della famiglia Baio, parcheggiata sotto la loro casa è stata data alle fiamme. Nelle settimane precedenti, alcuni personaggi denunciati, lo avevano avvicinato con fare intimidatorio mentre erano soliti frequentare un bar situato a pochi metri dalla sua abitazione. L’attività commerciale è stata chiusa, pochi mesi fa, a seguito di una retata che ha portato agli arresti oltre venti persone della famiglia Cassia. «Nessuno mi ha contattato per il preoccupante episodio dell’auto data alle fiamme.»
In questa assurda vicenda i colpi di scena non mancano. Dal suo profilo Facebook, dove racconta questi fatti gravissimi, Baio ha reso pubbliche le minacce ricevute – nei giorni scorsi – da un individuo che «con fare mafioso e senza alcun timore mi ha minacciato pesantemente, chiamando in causa tutta la mia famiglia, compresi i miei figli.»
Dai messaggi si capisce che c’è una conoscenza diretta della famiglia, dei suoi spostamenti, dei luoghi che frequenta.
Non è il primo episodio, ce ne sono stati tantissimi tra minacce reali e altre fatte attraverso i social: qualche mese fa da un profilo falso sono arrivate intimidazioni e ingiurie dopo che il nostro giornale aveva raccontato la storia di Ivan, cercando di dar voce alla sua disperata ricerca di giustizia.
La famiglia Baio, ancora una volta, presenterà una querela nelle sedi opportune, ma ciò che deve fare riflettere è la mancanza di qualsiasi tutela da parte dello Stato e delle istituzioni nei confronti di quei cittadini che denunciano mafie e malavita.
Senza lavoro, senza aiuti economici, senza alcuna tutela personale, Ivan Baio continua a lottare a testa alta trovando la forza in sè stesso, nella sua meravigliosa famiglia. All’ultima udienza del 30 ottobre, nel procedimento contro alcuni esponenti dei clan mafiosi, non è stata assegnata alcuna scorta e il tragitto, ancora una volta, tra casa e tribunale lo ha percorso con un mezzo privato. In assoluta solitudine.
In questi anni non sono mancati contatti con la politica. Baio è stato anche in commissione antimafia (novembre del 2019), ascoltato dalla parlamentare Piera Aiello, che si occupa di testimoni di giustizia, e dal parlamentare Michele Mario Giarrusso.
Anche l’europarlamentare Dino Giarrusso si è reso disponibile a portare nelle sedi opportune questa storia.
Purtroppo, però, dopo più di un anno non è ancora accaduto nulla.
Chi denuncia non ritrova facilmente un lavoro onesto. Chi denuncia diventa l’infame, lo sbirro, il traditore.
Lo Stato e le forze dell’ordine continuano con gli appelli: “denunciate, denunciate, denunciate”. DENUNCIARE è la parola d’ordine. Ed è giusto che sia così. Però poi bisogna pagare un prezzo altissimo, fatto di difficoltà e rinunce. Ma soprattutto di minacce e pericolose ritorsioni.
È questo che offre uno Stato serio?
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2020-11-25 16:59:52
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