«Siamo stati trattati malissimo, ma sono felice di essere qui», «Stiamo stati per settimane a piedi nudi, ci hanno trattato molto male, Ci facevano dormire per terra», «La notte era il momento più brutto, quando si sentivano le urla disperate di detenuti che venivano torturati, i militari li venivano a prendere e subito dopo c’erano le grida disumane», picchiato a sangue dopo il sequestro con ginocchiate, schiaffi e pugni «per tre giorni ho zoppicato per il dolore», «non mi sentivo più le gambe a furia di dormire a terra, sul pavimento» e il racconto di torture e pestaggi all'interno del carcere «con noi c'erano diversi intellettuali, erano rinchiusi in altre celle, c’erano professori, maestri, scienziati, studiosi, insomma intellettuali che erano stati presi dal regime di Haftar, E venivano picchiati, senza motivo», «mi sbattevano la faccia contro il muro, poi prendevano uno dei detenuti libici e gli gridavano che era un terrorista, A quel punto lo picchiavano davanti a noi, come manco le bestie».
Sono alcune delle testimonianze rilasciate dopo la liberazione da alcuni dei diciotto pescatori di Mazara del Vallo rapiti in Libia oltre cento giorni.
Testimonianze, denuncia l’Associazione Antimafie Rita Atria, che squarciano il velo su quanto accade in Libia: lager, torture, abusi brutali di ogni tipo: in Libia negli anni ormai milioni sono le vittime. Persone torturate, stuprate, rapite che subiscono i peggiori crimini possibili.
Crimini che avvengono con la complicità, la connivenza e il sostegno dell’Italia e di altri Stati europei denuncia l’associazione che pone con forza ed indignazione il pesante interrogativo «fino a quando l’Italia e l’Europa vogliono continuare a sostenere certi criminali?»
Un interrogativo che sarebbe sul tavolo ormai da tempo immemore ma i governi europei, Italia in primis, al di là di parole di facciata proseguono nella stessa direzione da anni indifferenti di fatto davanti quel che sta succedendo a sud delle proprie coste.
Davanti alle denunce della comunità internazionale e di associazioni per i diritti umani sulle condizioni di prigionia in Libia nel novembre scorso il ministro Lamorgese aveva solennemente promesso in Parlamento che il memorandum sarebbe stato modificato chiedendo precise garanzie al governo di Al Serraj sui diritti umani. Invece il 2 febbraio 2020 è scattato il tacito rinnovo, il giorno successivo il ministro degli Esteri Di Maio ha affermato di aver chiesto quel giorno modifiche dopo un incontro con il ministro degli interni libico Fathi Bashaga. Undici mesi dopo di fatto nulla è cambiato e dell’attenzione ai diritti umani annunciata non c’è traccia alcuna, «nonostante le prove delle sofferenze causate da questo orribile accordo e a dispetto dell’escalation del conflitto in Libia» denunciò prima del rinnovo tacito la direttrice di Amnesty International per l’Europa Marie Struthers che sottolineò come nei primi tre anni dalla firma dell’accordo almeno 40 mila persone, tra cui migliaia di minori, sono state intercettate in mare, riportate in Libia e sottoposte a sofferenze inimmaginabili».
A Tripoli, ha denunciato l’Unicef, fingono di arrestare i migranti clandestini e li tengono nei loro centri, senza cibo e senza acqua, prendono loro i soldi, li sfruttano, abusano delle donne e poi li trasportano nella zona di Garabulli per farli partire con i gommoni, con la complicità di parte della guardia costiera. Pochi giorni prima il Times aveva pubblicato un video dove si vede un trafficante, identificato nel boss libico Bija, frustare alcuni migranti.
Moltissimi migranti sono detenuti «in centri di detenzione non ufficiali» dove funzionari governativi li «vendono» ai trafficanti e le donne subiscono ripetute sevizie sessuali, crimini per i quali il segretario dell’ONU Gutierres accusò in un rapporto di essere responsabili gli Stati che finanziano ed equipaggiano a fondo perduto le autorità libiche, tra cui l’Italia.
Perdita della libertà e detenzione arbitraria in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale; rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali, «l’Unsmil ha continuato a ricevere segnalazioni credibili di detenzione prolungata e arbitraria – ha denunciato sempre Gutierres – torture, sparizioni forzate, cattive condizioni di detenzione, negligenza medica e rifiuto di visite da parte di famiglie e avvocati da parte di i responsabili delle carceri e di altri luoghi di privazione della libertà». Questa moderna vergogna disumana è storia che prosegue da moltissimi anni. Nel 2008 «Come un uomo sulla Terra» documentò una realtà terribile e disumana: il viaggio di Dagmawi, studente di Giurisprudenza ad Addis Abeba dalla quale decide di emigrare davanti alla durissima repressione politica, che sarà testimone e vittima di violenze e abusi dei trafficanti e della polizia libica.
Torture, stupri, arresti arbitrari. Il primo accordo inter-governativo tra Italia e Libia era stato sottoscritto l’anno prima. Una ricerca dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni nel 2017 ha denunciato che il 70 per cento delle persone giunte in Europa sono state vittime del traffico di organi, il 6 per cento degli intervistati ha affermato di essere stato in contatto con qualcuno costretto a farsi prelevare sangue o a pagare parte del viaggio con un organo. Il 10 ottobre di quell’anno la Corte d’Assise di Milano condannò a tre anni di reclusione il somalo Matammud Osman per omicidio, sequestro di persona in concorso e continuato a scopo estorsivo e violenza sessuale aggravata.
Secondo la sentenza Osman, componente di un’organizzazione che gestiva un campo a Beni Walid in Libia, ha sequestrato e torturato moltissimi suoi connazionali, uccidendone almeno quattro, tra il 2015 e il settembre dell’anno successivo. Nel dicembre 2016 una missione Onu in Libia accertò che la maggior parte dei 34 centri di detenzione presenti sono veri e propri lager. E dove i trafficanti agiscono liberamente con la complicità di funzionari e polizia libica. Alcune donne, prima di entrare in Libia, davanti all’altissimo rischio di stupri assumono enormi dosi di anticoncezionali. Cercano così di evitare gravidanze ma si procurano danni irreversibili all’organismo. Dopo aver visitato alcuni di questi centri il commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi non nascose di essere rientrato a dir poco scioccato.
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2021-01-12 16:35:36
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