Ne abbiamo parlato qualche mese fa e molte testate hanno ripreso la nostra notizia. Abbiamo denunciato le frasi gravissime e i messaggi mafiosi contenuti in alcuni testi della cantastorie calabrese Teresa Merante.
La stessa, a seguito degli articoli apparsi su vari social e giornali, si era sentita offesa perchè additata come la cantante della malavita e in un comunicato stampa negava ogni addebito, parlando di composizioni artistiche più vicine al folklore, alle storie di vita caratterizzano il sud da oltre 50 anni, alla tradizione locale.
Più o meno la stessa versione data dalla casa discografica della Merante, la Elca Sound che, a seguito del clamore sull’argomento, si è vista sospendere la collaborazione con Afi, l’associazione nazionale dei fonici italiani, che per voce del presidente aveva comunicato: “Prendiamo le distanze dai contenuti che incitano alla violenza e all’illegalità".
In rete le canzoni di Teresa Merante raggiungono numeri importanti: 252 mila visualizzazioni per il brano U latitanti, oltre 600 mila per Il capo dei capi.
Ma andiamo ad analizzare alcuni passaggi di questi testi qualificati "tradizione” del territorio calabrese e siciliano dai produttori e dagli interpreti interessati.
I testi dicono: “scappate giovanotti questa è la polizia, sparate a tutta forza sta brutta compagnia” e ancora “non avete paura che sono quattro pezzenti, noi siamo latitanti e siamo più potenti.”
Oppure parlando di Totò Riina: “si lo sto facendo, la galera è molto dura, ma per Totò era villeggiatura” e “era in tanti tutti per mano e c’era pure il Provenzano, tante persone lui ha ammazzato, dei pentiti non si è scordato.”
I personaggi della malavita sono richiamati per i loro ruoli come il pentito di mafia Buscetta indicato come “uomo d’onore lui non era”.
Ma la gravità dei messaggi tocca l’apice quando si legge: “Due giudici erano contro e arrivò per loro il giorno, li fece uccidere senza pietà ed era questa la realtà; lui da tutti era rispettato, c’era di mezzo anche lo Stato. Tutti l’onore gli hanno portato e zi Totò venne chiamato.”
Come si può tollerare la presenza in rete di chiari messaggi mafiosi come questi?
La maggior parte degli utenti dei social, dove è facilmente reperibile questa spazzatura chiamata musica, sono giovani di quella nuova generazione che dovrebbe crescere nella legalità e nel rispetto della legge e delle istituzioni.
Perché queste canzoni non vengono rimosse?
Perché non si procede verso questi signori per istigazione alla violenza?
E soprattutto ci chiediamo: chi finanzia queste produzioni e chi se ne avvale per veicolare chiare informazioni che inneggiano a personaggi indegni che tanto dolore hanno provocato al nostro paese?
Probabilmente denunciare la presenza di queste canzoni non è sufficiente.
Chi dovrebbe occuparsi di vigilare per non permettere la diffusione della violenza e dei falsi valori malavitosi nell’immenso mondo dei social non lo fa o forse la potenza della mafia è così forte anche nella realtà virtuale, che tutto diventa possibile?
Non possiamo accettarlo.
Inneggiare alla morte di giudici e poliziotti che hanno perso la vita nella lotta alla mafia è da infami veri, come solo chi è colluso con mafie e criminalità può fare.
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LA CONTRAPPOSIZIONE CULTURALE. «Ci sono “artisti” che esportano l'aspetto malato del nostro territorio, che parlano di mafia e ‘ndrangheta attraverso un progetto musicale semplice e diretto, che arriva facilmente ad un determinato pubblico e si fa veicolo di messaggi chiari. Inoltre va detto che resiste un vecchio retaggio culturale che erroneamente riconosce in quel tipo di musica la vera tradizione calabrese. Esportando quella musica e quei messaggi anche oltre i confini nazionali, si fa un danno di immagine gravissimo a questa terra, qualificandola solo come terra di malaffare.»
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2021-03-16 16:22:04
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