Uno studio approfondito e inedito di Nenad Veselic ci svela i rapporti storico-culturali tra il Sommo Poeta e le terre di Oriente. A settecento anni dalla scomparsa di Dante il testo del musicologo dalmata aggiunge un tassello di conoscenza e di approfondimento.
Non so in che modo e con quale stato d’animo guardava la sua città natia, l’antica Tragurion, e il suo mare, dopo una lunga assenza, il professor Antonio Lubin, città dove aveva fatto i primi passi e i suoi primi studi presso il Collegio di San Lazzaro a Traù per poi iscriversi al famoso Ginnasio di Spalato frequentato anhce da Ugo Foscolo e Niccolò Tommaseo e, in seguito all’Università di Padova.
Trogir, Tragos, Tragurium, Traù…Due, tre, quattro nomi per la stessa città fondata dai Greci sicarusani di Lissa, e sdrucciole voci odorose di vento inebriante di ginepri, di miele, voci che si inseguono nei secoli arrivando con il maestrale dalle vicine isole,che estasiavano l’animo nei ricordi del vecchio Professore.
Perdersi nella calli dell’infanzia di una città fatta a misura d’uomo ed edificata dall’animo di maestri rinascimentali. Entrare silenzioso e riverente nella splendida Cattedrale per inginocchiarsi ancora una volta dove un tempo celebrava la messa e sentirsi osservato dagli sguardi fissi dei suoi santi dipinti sulle pareti che ti guardano con benevolenza, che tu sia ospite o figlio…Da numerosi studiosi dell’opera di Dante, Antonio Lubin è considerato il migliore dantista fuori d’Italia. Egli fu anche il fondatore della Romanistica all’Università di Graz, nominato cattedratico di Lingua e Letteratura Italiana nella stessa Università dall’Imperatore Francesco Giuseppe d’Austria e più tardi decorato con la corona di ferro per i suoi pregevoli studi.
La famiglia di Antonio Lubin si trasferì in Dalmazia, proprio a Trogir, nel 1465 (P.Andreis) proveniente da Forlì, antica stirpe nobiliare degli Allegretti (F.Heyer von Rosenfeld-W.Wapenbruch, pag. 25) un ramo della quale si spostò a Siena, un’altra a Spalato.
Gli Allegretti di Traù venivano talvolta chiamati anche Veselić seguendo l’etimologia popolare croata (allegro=veselo). Erano una famiglia di grande tradizione marinara dalla quale uscirono molti ottimi capitani: ancora oggi esiste a Rapallo in Liguria il Santuario-Basilica di Nostra Signora di Monte Allegro fatto erigere come ringraziamento alla Vergine dal capitano Nicola de Allegretti salvatosi dal naufragio nelle vicinanze del porto di La Spezia.
Non a caso numerosi storici, scrittori e archeologi seguirono le orme dei loro illustri predecessori traurini ove si consideri che come minimo se ne contano – umanisti e latinisti di fama – circa 25 sparsi per le corti e le università europee, i quali hanno dato un notevole contributo alla civiltà latina e all’Umanesimo europeo.
Qui ci piace ricordare che il cardinale Veranzio primate d’Ungheria, il quale passò tutta la sua infanzia a Traù, fu l’ultimo rimasto a difendere dall’Inquiizione Aonio Paleario di Veroli in un tempo in cui molti amici si defilavano per evidenti motivi.
La numerosa schiera di umanisti della città di Traù fu resa anche possibile dall’impressionante numero delle biblioteche traurine in una delle quali fu rinvenuta, unico esempio al mondo, la famosa “Cena di Trimalcione” di Petronio:per l’esattezza si trovava nella biblioteca privata di uno dei primi umanisti europei, il conte e ammiraglio Pietro Cippico il quale con la sua trireme soleva navigare per i mari del Levante alla spasmodica ricerca di iscrizioni latine.
Uno degli ulitmi discendenti di questo illustre casata fu il senatore del Regno d’Italia conte Antonio Cippico, grande amico dello studioso verolano e bibliofilo Camillo Scaccia Scarafoni. Il conte Antonio Cippico, che presiedette il primo Congresso mondiale delle biblioteche che si tenne a Zara, fu anche professore all’Università di Oxoford dove nel “Times”, trattò Dante e Carducci che gli valsero il “ Royal Literary Society”. Nel 1909 realizzava l’opera di William Shakespeare “il re Lear”, scritta in versi da lui stesso, nel Teatro Argentina di Roma.
L’Umanesimo in Dalmazia ci ha lasciato dei grandi capolavori scientifici e letterari scritti anche in un trilinguismo elegante, latino, croato e italiano. Questa tradizione umanistica si è perpetuata per tutto l’Ottocento fino ai primi del Novecento. Ci piace qui ricordare altri due umanisti traurini, entrambi professori al Ginnasio spalatino: Vinko Lozovina,ex studente dell’Università di Graz e Antonio Sasso.
Quest’ultimo, canonico della Cattedrale di Traù ed ex studente dell’Università di Vienna fu un eccellente traduttore della poesia dantesca costituendo un correttivo ideale e una soluzione felice ai dubbi e alle angosce causate dall’irrompere del materialismo positivista ispirandosi alla sua personale spiritualità e ai principi teologici biblici assumendo il concetto della pura poesia e cercando di filtrarne i frutti preziosi.Il mondo poetico e fantastico di Dante Alighieri accompagnò il Prof. Vinko Lozovina, ex studente all’Università di Graz, in tutte le fasi della sua creazione letteraria.
Fu un raffinato italianista assumendo un ruolo di stimolo fantastico e una fonte inesauribile di immagini e di motivi poetici della preziosa opera dantesca e della letteratura italiana in genere.
Per concludere non possiamo non accennare ad una personalità illustre che ha legato il suo nome alla città di Traù da dove proveniva: il Prof. Giuseppe Billanovich, membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei a Roma dove fu insegnante di filologia medievale nonché insegnante di Letteratura Italiana all’Università di Friburgo in Svizzera e di Filologia medievale e umanistica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Il Billanovich per primo ha risolto l’enigma dell’autore della “Cronica” conosciuto come Anonimo cronista romano ed evidenziando, nell’opera “Come nacque un capolavoro: la Cronica del non più anonimo romano” del 1995, una grande amicizia, nella Ciociaria del Trecento, fra Ildebrando dei Conti di Segni, Francesco Petrarca e Bartolomeo di Jacopo di Valsimontanes ovvero di Valmontone che fu poi vescovo della città di Traù nel 1340.
Lubin insigne dantista
Al di là dei doverosi cenni sull’attività politico-culturale di Antonio Lubin, occorre dire che la maggior parte della sua vita fu dedicata agli studi letterari e in particolar modo, come già anticipato all’inizio di questo saggio, alla figura di Dante. Uno dei primi studi danteschi di Lubin è sicuramente “Matelda” (1860), incentrato sulla donna che il poeta incontra nel paradiso terrestre prima di Beatrice e che alcuni critici ritengono si trattasse di Matilde di Canossa. Nel 1862 Lubin pubblicò il saggio “Intorno all’epoca della Vita Nova di Dante Alighieri” dando prova di grande conoscenza dell’ambiente culturale dell’Italia trecentesca.
Qualche anno dopo, Lubin, intraprese un’analisi più particolareggiata della Divina Commedia attraverso uno studio circostanziato dal titolo “Allegoria morale, ecclesiatica, politica delle prime cantiche della Divina Commedia di Dante Alighieri ovvero dei vantaggi che per l’intelligenza della Divina Commedia si possono trarre dalla conoscenza del suo autore”, trattasi nella fattispecie di una dissertazione letta e commentata all’Ateneo di Bassano il 3 marzo 1863. Sempre a Bassano, ma nel 1869, lesse l’elogio “Giuseppina de Hoffinger, traduttrice della Divina Commedia”.
A Venezia, Lubin, pubblicò nel 1877 “Scena alla terza cantica e sua ragione. Saggio di un nuovo commento della Divina Commedia” mentre l’anno successivo scrisse ”Soggetto e Piano della terza Cantica”. Lubin si inseriva così a pieno titolo nella tradizione degli studiosi e letterati dalmati che videro in Dante non solo il faro della lingua o favella italiana ma un grande erudito e simbolo supremo della Patria. Inoltre la chiara definizione dei confini orientali d’Italia che Dante descrive nel Canto IX dell’Inferno “Sì come a Pola presso del Quarnaro, che Italia chiude e i suoi termini bagna”, non poteva non esercitare un fascino di ordine politico nella maggior parte degli intellettuali italiani che vivevano nei centri istriani e dalmati.
Dante suscitava anche un forte flusso emotivo in quanto esule e per sempre allontanato dalla sua patria Firenze. Nell’esule Tommaseo questo aspetto di Dante rimarrà profondamente impresso a differenza di Lubin che non si pose mai in aperto contrasto con le autorità austriache e non incorse nell’amara via dell’esilio.
La Dalmazia però risulta apparentemente sconosciuta a Dante che non la menziona mai nelle sue opere. Sulla presenza in Istria del Sommo Poeta invece si fanno molte congetture e riferimenti che ne comproverebbero la reale permanenza per un breve periodo di tempo. Lubin era consapevole che Dante poteva incontrare in Istria altri fiorentini ivi dispesi per via di proscrizioni ed esilii; tra di essi vi erano sicuramente Neri Peroni,Tignoso Soldanieri, perseguitato come Dante dai Guelfi Neri, gli Accati, gli Scolari, gli Amidei, i Tedaldini.
Troviamo tracce in Istria anche della presenza di Neri degli Abati e poi ancora di Corso Ristori. A questi va aggiunto un non fiorentino Monfiorito di Coderta della Marca Trevigiana, il quale però fu podestà di Firenze nel 1299 e poi podestà di Pola nel 1304 e 1305. Da ciò si potrebbe desumere che tutti questi fiorentini potessero avere avuto il desideio di ospitare Dante che all’epoca era già ritenuto il più grande poeta e scrittore in Italia nonché uomo politico di primissimo piano.(1) E’ nota anche la secolare fortuna di Dante in Istria a cominciare dal Trecento dove la Divina Commedia veniva più volte trascritta, commentata e anche imitata.
Tra i più insigni cultori di Dante in Istria son da ricordare Pier Paolo Vergerio (che ebbe lunghi contatti con l’umanista verolano Aonio Paleario), Girolamo Muzio e Giancarlo Rinaldo Carli.
Infine va aggiunto che Dante nel suo “De Vulgari Eloquentia” nomina ben tre volte il parlare istrioto tra i dialetti italici, senza però distinguerlo chiaramente dal friulano. Una curiosità, seppur fuori dall’Istria, è quella relativa alla presenza stabile di un pronipote di Dante Alighieri a Zagabria che nel 1399 divenne proprietario di una famosa farmacia nel Capitolo della città. Ben conosceva Dante il pellegrino croato e la sua prfonda fede, onorando così l’intero popolo croato da esprimersi con questi versi:
Quale è colui forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per lantica fama non si sazia,
ma dice nel pensier, fin che si mostra,
”Signor mio Gesù Cristo, Dio verace
or fu si fatta la sembianza vostra?”
(Paradiso, c. XXXI, vv. 103-108)
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1 Sulla presenza di Dante in Istria cfr. Antonio Just Verdus, “Dante e gli Adriatici”, La Rivista Dalmatica, anno XXXVI, fasc.III, Venezia 1965; oppure Francesco Semi, “Il soggiorno di Dante in Istria nell’ottobre del 1308”, Pagine istriane, Trieste 1959.
In Dalmazia invece la diffusione dell’opera di Dante si sviluppò soprattutto dopo l’invenzione della stampa. Nel 1487 un prete tipografo Bonino de Boninis da Lagosta, stampava a Brescia la “Divina Commedia” del Landino a cui aggiunse 68 xilografie, le prime in assoluto che abbiano adornato l’opera dantesca.
L’edizione del Boninis servì ad un altro dalmata Francesco Fortunio, autore nel 1516, della prima grammatica italiana, nella quale adoperò motivi della lingua di Petrarca, di Boccaccio ma soprattutto di Dante.
Nell’Ottocento culminano gli studi danteschi tra i dalmati e a precedere Lubin sarà nel 1837 il primo Commento alla Divina Commedia di Nicolò Tommaseo che allora destò ammirazione e plauso in tutta Italia. Nel 1854 Tommaseo aggiunse dopo ogni canto un discorso che indagava e illustrava ogni aspetto filologico, storico, artistico e religioso.
Antonio Lubin seguendo la scia del suo nobile conterraneo, operando per certi versi in parallelo, giunse a pubblicare nel 1881 a Padova un lavoro più ampio e complesso rispetto ai suoi scritti precedenti sul Sommo Poeta, dal titolo “La Commedia di Dante Alighieri preceduta dalla vita e da studi preparatori illustrativi, esposta e commentata da Antonio Lubin”.
Si trattava di un’opera poderosa, erudita, in cui veniva dispiegato in tutte le sue parti il “sapere” di Dante. Alla stregua del Tommaseo il nostro Lubin si attenne al principio secondo cui il verso di Dante non si poteva separare dal secolo in cui il poeta era vissuto; il suo commento fu assai apprezzato ma le sue concessioni sull’allegoria del poema provocarono una serie di polemiche alle quali cercò di rispondere col volume “Dante spiegato con Dante e polemiche dantesche” (1884).
Quando si rivolgeva ai giovani Lubin affermava che per trattare le questioni dantesche occorreva guardarsi dal pronunciare un netto giudizio senza prima avere letto più volte il testo sul quale nasceva la contesa.
Bisognava sforzarsi a ragionare sui versi di Dante e non affidarsi a un più facile uso di imitazioni preesistenti, reclamando in pieno l’esercizio delle facoltà intellettuali e della ragione per dare corso all’ambito interpretativo storico-letterario delle opere dantesche non ancora concluso.
Antonio Lubin fornì altri importanti contributi di notevole interesse, tra cui “Dante e gli astronomi italiani-Dante e la donna gentile”(1895), un’opera in cui egli pone in debito rilievo come il poeta fiorentino appare sia come stella del mattino sia come stella della sera a seconda del tempo.(3)
3 …la stella/ch’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio (Paradiso VIII, 10.11)
Per tali osservazioni, Lubin, si rivolse a diversi osservatori astronomici (ricordo quello gesuita del Collegio Romano a Roma e quello milanese di Brera, tra i fondatori del quale vi era il raguseo Ruggero Giuseppe Boschovich), affinchè gli fornissero la risposta alla domanda: in quanti giorni Venere compie una rivoluzione in quel cerchio che la fa apparire stella del mattino e della sera, a seconda dell’ora del giorno?
Ne risultò che Dante sapeva con certezza che la durata della rivoluzione di Venere, indicata dall’astronomo arabo del IX secolo Alfragano (nominato da Dante nel “Convivio”), fosse di 584 giorni. Valide, dunque, si rivelano le osservazioni di Lubin sul moto di Venere descritto da Dante ed espresse nel suo saggio “Il cerchio che secondo Dante fa parere Venere serotina e mattutina, secondo i due diversi tempi che se ne traggono” (Bologna, 1892), che testimoniano una attenta lettura scientifica della Commedia e non solo storico-letteraria.(4)
Antonio Lubin tornò nella sua Traù nel 1875 dopo il collocamento a riposo dall’Università di Graz. In Dalmazia riprese a dare sostegno alle idee autonomistiche pur avendo in famiglia un esponente del partito nazionale croato, il nipote Josip Slade figlio della sorella di Lubin (5).
In pensione, Lubin, trovò il tempo seguendo l’inclinazione tommaseiana di scrivere nuovi studi danteschi, tra cui si ricorda “Dante e gli astronomi italiani. Dante e la donna gentile” (Trieste 1895) e “Questione dantesca” (1899).
Lubin, ci appare pertanto un erudito eccellente, che con paziente amore indagava sul significato di ogni frase,di ogni verso, per arricchire le possibilità di nuove cognizioni e proseguire ad approfondire le conoscenze di storia, folosofia, teologia nonché le scienze naturali ed astronomiche.
I suoi ultimi scritti, però, furono dettati dalla passione politica e vennero alla luce in un periodo di grandi cambiamenti in Dalmazia causati dall’evoluzione del dibattito sorto intorno alla questione nazionale croati e italiani(6)
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4 Cfr. Wlasta Balestra Kukovec,”Dante nelle opere del dalmata Antonio Lubin”, “La Rivista Dalmatica,
vol. 71, fasc.1, Venezia 2000, pp. 155-157.
5 Josip Slade (Traù 1828-1911) filosofo ed ingegnere, costruttore del teatro Mazzoleni di Sebenico, ma anche di strade e di palazzi in Montenegro. Slade restaurò i più bei palazzi rinascimentali di Traù.
6 Antonio Lubin, “Contro l’annessione della Dalmazia alla Croazia, incidentemente contro la slavizzazione delle province tedesche e italiane dell’Austria”, Trieste, 1898. In questo articolo si occupò anche della Stiria dove la presenza slovena si faceva sempre più sentire.
Come più volte ricordato in questa sede gli ideali politici di Lubin erano di carattere autonomista ma non irredentista e pertanto non lo si può annoverare tra i Ghiglianovich, ai Colautti o ai Duplancich.
Lubin apparteneva a una generazione che aveva visto naufragare nella battaglia navale di Lissa (combattuta nell’ambito della III guerra di indipendenza italiana nel 1866) la possibilità di un avvento di Casa Savoia in Dalmazia. Tale era il divario numerico tra la maggioranza croata e la minoranza italiana alla fine dell’Ottocento, che lasciava poche speranze secondo Lubin alle idee radicali filo italiane sulla regione dalmata proprie dei giovani irredentisti, pertanto la sua era una battaglia soprattutto culturale che non metteva in discussione la Casa d’Austria. L’eredità veneziana era ancora forte nel 1880 in Dalmazia, ma il riscatto nazionale degli slavi del sud si andava sempre più sviluppando in base anche all’inarrestabile declino dell’impero turco nei Balcani. La nuova generazione dei dalmati italiani, non avendo alternative, si rivolgeva sempre più ai programmi irredentisti (7).
Antonio Lubin vide il nipote Giovanni Lubin (Traù 1863-Zara 1943) recarsi a Zara per perseguire gli ideali irredentisti e sperare nell’annesione di gran parte della Dalmazia all’Italia. Un’altra storia quella di Giovanni (che non aderì al fascismo), avvocato colto, profondo conoscitore della lingua e letteratura inglese, impegnato esclusivamente nella lotta per l’italianità della Dalmazia assieme ai vari Ziliotto, Ghiglianovic, Cippico, Krechich, Brunelli e Dudan.
Il dantista Antonio Lubin, tuttavia, non sopravvisse alle più aspre e drammatiche battaglie per il destino politico della Dalmazia nei primi decenni del Novecento. Dopo aver terminato nel 1899 uno studio sulla figura del papa Celestino V, “Celestino V e il suo gran rifiuto”,
Lubin si spense il 22 luglio de 1900 (8).
In suo onore furono organizzate esequie solenni a cui patecipò in massa la cittadinanza traurina.
7 Cfr. Luciano Monzali
8 Circa quattro mesi dopo la sua incoronazione, nonostante i numerosi tentativi per dissuaderlo avanzati da Carlo d’Angiò, il 13 dicembre 1294 Celestino V, nel corso di un concistoro, diede lettura della rinuncia all’ufficio di pontefice romano. Controversi sono i pareri sulle dimissioni di Celestino V: ancora oggi infatti, gli storici sono in disaccordo sul valore da dare al gesto del pontefice. Dante Alighieri è quello che , forse, si espresse nella maniera più critica nei suoi confronti, contestando a Celestino V di aver provocato, abbandonando il pontificato, l’ascesa al soglio di Bonifacio VIII, del quale egli, in quanto guelfo bianco, disapprovava prfondamente le ingerenze in campo politico. Secondo questa ipotesi, infatti, sarebbe proprio Celestino V il personaggio nel III Canto dell’Inferno (verso 58-60).
L’edificio del comune era parato a lutto, le lanterne delle vie coperte da crespo nero e la bandiera del regno di Dalmazia issata a mezz’asta. Si manifestò in quell’occasione un gran gesto di civiltà da parte degli avversari politici di Lubin, appartenenti la Partito nazionale croato che onorarono in lui l’uomo di studi e di cultura. Ben altri tempi da quelli del Novecento appena passato inondato dagli eccessi e dagli odi nazionalistici!
Il corteo funebre era accompagnato da centocinquanta portatori di torce e da un gran numero di studenti delle scuole affiancati da alcune rappresentanze studentesche provenienti da Graz. Anche dalla vicina Spalato giunsero estimatori di Lubin, tra cui si distingueva il podestà di Spalato Vinko Milić (1883-1910), che pur essendo legato all’idea di una Dalmazia unita alla Croazia riconobbe l’importanza della lingua italiana per la cultura dei dalmati esprimendo ammirazione per i modelli letterari dell’umanesimo italiano.
Per tale occasione il padre dei provinciali domenicani Giordano Zaninovich scrisse un sonetto in onore di Lubin ed infine Paolo Mazzoleni (1831-1923) (9), che fu il promotore e primo azionista della costruzione del teatro sociale di Sebenico poi intitolato a Francesco Mazzoleni, ebbe a dire di Lubin:
Mente vigorosa, acuta, anima candida,tempra adamantina/decoro della grazzese università,
lodatissimo commentatore di Dante…ci lascia mestissimi/col conforto però, che nome suo venerato resta/scolpito in aurei caratteri accanto benemeriti.
Il rinnovato interesse in Croazia per l’opera di Lubin
Antonio Lubin fu apprezzato anche da un dantista croato come lo scrittore e poeta Ante Trešić Pavičič (1867-1949), nativo di Lesina (Hvar), appassionato della letteratura italiana nonché della spagnola e portoghese.
Il saggio di Lubin “Matelda” era tra i preferiti di Trešić Pavičič attratto dalla bellezza primaverile di Matelda, oltre che dalle apparizioni luminose sfavillanti del Paradiso. L’attenzione spiccata di Trešić Pavičič per Dante viene posta in rileivo dal critico Mate Zorić con queste parole già nel 1966:
“E gli parve di aver tovato la sua guida poetica e spirituale in Dante e nella sua sublime poesia in cui coesistono meravigliosamente le astrattezze del pensiero filosofico-teologico e una rappresentazione poetica, plastica e concreta” (10)
9 I Mazzoleni furono una delle più importanti famiglie di Sebenico in età moderna, che diedero lustro alla città con Fracesco Mazzoleni baritono di fama internazionale, poi con Paolo, il mecenate a cui si devono molte delle opere pubbliche a cavallo dellam metà del XIX swecolo e infine con il famoso soprano Ester Mazzoleni
10 Mate Zorić, Ante Trešić Pavičič di Lesina e la poesia di Dante, Atti del Congresso Internazionale di Studi Danteschi, Firenza, 1966, p.386.
Ci auguriamo che queste pagine vorranno trasmettere un significato più ampio: unire idealmente tra loro i paesi dell’Adriatico-molti dei quali condividono anche comuni radici culturali-rivolgendosi in modo particolare ai popoli delle due sponde dell’Adriatico che in diversi periodi storici a con alterne fortune, hanno vissuto momenti di eccezionale vicinanza e collaborazione.
NOTA DA AGGIUNGERE al paragrafo “Lubin insigne dantista”
Nell’ambito delle riforme costituzionali promosse dall’imperatore Francesco Giuseppe col Diploma imperiale del 20 ottobre 1860, l’Impero austroungarico venne in qualche maniera “federalizzato”, seguendo l’opinione della maggioranza dei componenti del Consiglio dell’Impero: in base a tali determinazioni, ogni provincia del regno avrebbe ricostituito-o costituito ex novo-una propria Dieta, alla quale sarebbero stati demandati molti poteri legislativi e giudiziari. Da questo momento in poi si inasprì la lotta politica tra i sostenotori di un autonomo Regno di Dalmazia e tra coloro che volevano l’inglobamento della Dalmazia nel Banato di Croazia.
NENAD VESELIC
Nato a Trogir, in Dalmazia, ha studiato musica a Spalato. Trasferitosi a Roma si è diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia. Musicologo di fama internazionale ha fondato e diretto numerose orchestre da camera. Pubblicista e scrittore è collaboratore di Radio Vaticana. Dopo un lungo soggiorno a Lisbona da anni ha scelto di vivere a Veroli.
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2021-10-27 16:21:52
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