Paolo De Chiara, presidente dell’Associazione Dioghenes APS e direttore di WordNews.it. L’associazione Dioghenes Aps si occupa di organizzare e realizzare il premio. Quest’anno siamo arrivati alla III Edizione. Qual è l’obiettivo che volete raggiungere con la realizzazione annuale del premio? E a chi è rivolto?
Siamo arrivati alla III Edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo. Un percorso importante iniziato a Petilia Policastro, dove è nata e dove è vissuta questa fimmina calabrese massacrata dalla ‘ndrangheta il 24 novembre 2009 dal suo ex compagno, da Carlo Cosco, il padre di sua figlia e da altri malavitosi condannati all’ergastolo. Ricordiamo: quattro ergastoli, assoluzione di Giuseppe Cosco detto Smith e una condanna “trasformata” dall’ergastolo alla reclusione per il collaboratore di giustizia, ex findanzatino di Denise, che farà ritrovare i frammenti ossei della donna buttati in un tombino e che racconterà la dinamica di questo massacro milanese.
È importante ricordare, nel paese senza memoria, le persone che hanno dato la vita per la libertà, le persone che non hanno girato la testa dall’altra parte, le persone che hanno impuntato i piedi per contrastare realmente e con i fatti e quindi non a parole come molti fanno purtroppo in questo paese senza memoria, questa organizzazione criminale più forte al mondo. Quando parliamo di ‘ndrangheta ci troviamo di fronte alla mafia più forte, pericolosa, attrezzata militarmente ed economicamente, presente in cinque continenti con un rapporto privilegiato con i cartelli colombiani, etc.
L’obiettivo di questo Premio, di questo evento organizzato dall’associazione antimafia e antiusura Dioghenes Aps è quello di coinvolgere i ragazzi. Tutto ruota intorno agli studenti. Infatti questo è un Premio itinerante: la prima edizione ha toccato Petilia Policastro, in provincia di Crotone; la passata edizione si è tenuta in Abruzzo, a Casoli, un luogo rappresentativo per la Resistenza italiana. L’anno scorso ci fu questo ponte con la resistenza antifascista che si lega perfettamente alla resistenza che dovrebbe e potrebbe contrastare le schifose organizzazioni mafiose.
Tutto nasce, sin dalla prima edizione, attraverso un bando rivolto esclusivamente ai ragazzi, agli studenti italiani ed è giusto aggiungere che i ragazzi rispondono, attraverso le scuole, sempre positivamente. Anche quest’anno ci sono dei lavori straordinari. I ragazzi lavorano al premio, sono protagonisti del premio. Ma noi aggiungiamo un altro tassello: in tutte le edizioni, attraverso una giuria, cerchiamo di individuare dei ‘Testimoni del nostro tempo’. Queste figure le abbiamo denominate in questo modo non solo per richiamare la figura del Testimone dei Giustizia, una persona onesta che ha visto, sentito e toccato con mano l’arroganza criminale, ma è importante che i ragazzi, attraverso queste figure che vengono scelte di anno in anno, possano ascoltare, possano ricevere, possano toccare con mano l’insegnamento e l’esempio di diversi personaggi che si sono distinti nei settori di appartenenza. Nella prima edizione abbiamo premiato dei personaggi importanti. C’è sempre una vasta rosa che riguarda i magistrati, la società civile, il giornalismo, l’attivismo e i parenti delle vittime. Nella prima edizione abbiamo coinvolto: Sebastiano Ardita, Salvatore Borsellino, Pino Cassata, Francesco Coco, Rosario Conti, Renato Cortese, Luana Ilardo, Angela Napoli, Mario Ravidà, Luciano Traina e Dario Vassallo. Nella seconda edizione abbiamo coinvolto e premiato: Piera Aiello, Sonia Alfano, Tonino Braccia, Lina Calandra, Luigi de Magistris, Roberto Di Bella, Michelangelo di Stefano, Pino Finocchiaro, Giuseppe Lombardo, Brizio Montinaro, Raimondo Semprevivo e Fortunato Zinni.
Siamo arrivati alla terza edizione. Come valuti la riuscita delle prime due edizioni del Premio? E cosa ti aspetti dalle prossime edizioni?
Sono state due edizioni del premio straordinarie. In ogni edizione si registrano emozioni forti, momenti particolari per i ragazzi ma anche per chi organizza queste manifestazioni. Il contatto con personaggi che hanno offerto e hanno fatto comprendere che è possibile, attraverso le loro azioni, vivere con dignità. La cultura della legalità, parola che oggi troviamo in bocca a molte persone che nemmeno potrebbero pensarla, è diventato un termine inflazionato. Ecco io utilizzerei un altro termine e parlerei di cultura della consapevolezza. Bisogna essere consapevoli, bisogna conoscere, bisogna sapere (il sapere è il primo passo per cambiare), bisogna cominciare a ragionare con la propria testa, bisogna allenare la propria mente con spirito critico ed ecco perché è necessario entrare nelle scuole e portare questo premio nelle scuole di tutta Italia.
Ecco il motivo per il quale abbiamo deciso di rendere questo premio itinerante. L’esempio va illustrato, approfondito, studiato e deve rimanere nella mente di ognuno di noi e dei ragazzi. Però bisogna fare un passo in più: noi siamo diventati, purtroppo, il paese delle commemorazioni e il paese delle commemorazioni: la memoria è importante e fondamentale. Lo diceva il poeta massacrato a Roma nel ’75: “un paese senza memoria è un paese senza storia”. Ovviamente non ci possiamo fermare solamente alla commemorazione, non possiamo essere tutti Giovanni Falcone il 23 maggio, non possiamo essere tutti Paolo Borsellino il 19 luglio, non possiamo essere tutti Giancarlo Siani. Dobbiamo immergerci, dobbiamo gettare il nostro corpo nella lotta tutti i giorni se c’è la volontà di cambiarlo questo paese. Altrimenti continuiamo a perdere tempo e a commemorare senza fare quel passo in più che è fondamentale.
Io non mi aspetto nulla dalle prossime edizioni, non bisogna mai aspettarsi nulla ma bisogna lavorare. Bisogna lavorare con i ragazzi, con i docenti, con i dirigenti scolastici per poter far entrare all’interno dell’ingranaggio della nostra vita quotidiana l’importanza della resistenza, l’importanza della capacità di affrontare tutti i giorni le tante problematiche che contraddistinguono la nostra vita e il nostro vissuto. Dobbiamo impegnarci tutti per cambiare la società e per offrire persone pronte e capaci perché domani possano occupare i ruoli importanti di questo paese. Per ottenere questo non bisogna sperare e aspettarsi niente da nessuno ma bisogna dare se stessi perché è fondamentale continuare una battaglia di civiltà che ci portiamo avanti da secoli. E’ arrivato il momento di sconfiggerle le organizzazioni criminali e non di combatterle.
Ci saranno cambiamenti in questa Edizione?
Non parlerei di cambiamenti, parlerei di integrazioni o meglio di miglioramenti rispetto alle passate edizioni. Abbiamo voluto coinvolgere non solo un numero diverso di testimoni, che è aumentato rispetto alla edizione precedente. Quest’anno il messaggio deve essere chiaro e forte sul territorio. Vogliamo dare uno schiaffo in faccia alla ‘ndrangheta. Vogliamo, come diceva Peppino Impastato, urlare che la ‘ndrangheta è una montagna di merda.
Come mai la decisione di svolgerlo in Calabria quest’anno?
Un territorio bellissimo come la Calabria, dove da troppi anni esiste un’organizzazione criminale, soggetti criminali che tengono in ostaggio i calabresi in tutti i settori, dalla sanità ai diritti civili di ognuno di loro che poi sono i nostri diritti. Voglio ricordare che la Calabria fa parte dell’Italia e quindi è un problema che riguarda tutti. Loro hanno sì il bastone del comando in quella bellissima terra abitata da straordinarie persone ma fanno affari ovunque e quindi il loro potere è stato spostato e le loro trame si sono allungate. La Palma, come diceva lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, si è trasferita al nord, in Europa e nel mondo. E allora farlo in quel territorio difficile, coinvolgendo i ragazzi è essenziale per far capire attraverso gli esempi concreti, e non solo attraverso le parole o atti che si sono rivelati sino ad ora inconcludenti. Per dimostrare che l’unica strada non è quella soltanto del crimine organizzato. Ma per restare in questa terra voi avete anche altre strade. Quest’anno abbiamo una giovane magistrata e questo è un altro esempio per i ragazzi. Come dice un altro magistrato calabrese, oggi procuratore della Repubblica di Napoli, è necessario fotterli attraverso lo studio.
Quanto è importante coinvolgere gli alunni nella realizzazione e nell’impegno in queste tematiche e che risposta hai ricevuto?
La risposta che abbiamo ricevuto in questi anni, compreso in questa terza edizione, è sempre stata straordinaria. I ragazzi hanno quella capacità di sentire il fresco profumo di libertà, come diceva il giudice Paolo Borsellino massacrato nella strage di via d’Amelio il 19 luglio del 1992 insieme alla sua scorta. I ragazzi hanno quello sguardo che gli altri non hanno più. I ragazzi riescono ancora a sentire quel profumo di libertà, quel profumo di riscatto, quel profumo necessario per poter cambiare attraverso la ribellione questo mondo schifoso che noi adulti stiamo lasciando: un mondo fatto di guerre, un mondi fatto di indifferenze, un mondo fatto di situazioni assolutamente non paritarie, un mondo fatto di furbi, corrotti, di personaggi che continuano a delinquere e continuano nello stesso tempo a gestire la cosa pubblica. I ragazzi questo lo capiscono e questo vogliono cambiarlo. Il mondo degli adulti deve comprendere il mondo dei ragazzi. Questi due mondi devono ricominciare a parlarsi, integrarsi e intrecciarsi. Gli errori li abbiamo commessi noi adulti e continuiamo a giudicare e condannare il mondo dei ragazzi, degli adolescenti. Non conosciamo assolutamente questo mondo. Noi dobbiamo studiarlo questo mondo, dobbiamo ascoltare le canzoni che ascoltano i ragazzi, dobbiamo imparare il linguaggio dei ragazzi, dobbiamo capire le loro necessità perché insieme dobbiamo percorrere la stessa strada. Ecco qual è l’impegno che si prefigge anche l’associazione Dioghenes. Noi dobbiamo dialogare con i ragazzi, comprendere il punto di vista dei ragazzi, dobbiamo appoggiare i ragazzi e dobbiamo combattere insieme ai ragazzi. Il momento dell’attesa, del guardare seduti il cadavere che passa nel fiume davanti a noi è finito. Noi dobbiamo diventare protagonisti, dobbiamo creare un’alleanza con tutte le persone per bene e dobbiamo costituire questo “esercito” per questa contrapposizione. La resa dei conti è arrivata e noi dobbiamo essere pronti a vincere questa guerra.
Ormai la storia di Lea la conosci benissimo, visto il tuo impegno profuso in questi anni. A che punto siamo arrivati nel conoscere la storia di Lea e cosa ci manca?
La storia di Lea Garofalo, come tante storie di donne che si sono contrapposte alle organizzazioni criminali, ci fanno capire che le donne sono la giusta chiave non solo per il contrasto alle organizzazioni criminali. Gli uomini non hanno più, non so l’hanno mai avuta, la dignità di portare avanti determinate battaglie. Le donne in questo paese hanno sempre dimostrato di essere persone libere e di raggiungere dei risultati attraverso la loro ribellione. Questo in passato è accaduto, in questo paese, per l’approvazione di leggi importanti, come la legge sull’aborto e sul divorzio, come le tante battaglie che le donne hanno portato avanti per il diritto di voto che hanno conquistato attraverso la loro azione, anche con le armi in pugno durante la resistenza, dopo abbiamo aperto finalmente il suffragio universale anche alle donne. Diamo spazio alle donne in questo paese, perché gli uomini hanno fallito, politicamente parlando, e adesso tocca alle donne.
Le mafie hanno ucciso sempre le donne. Quella cazzata che continuano a raccontare ‘le mafie di una volta avevano un codice’ è assolutamente falsa. Le mafie hanno sempre ammazzato le donne e i bambini. Più di centocinquanta donne, infatti, in questo paese sono state ammazzate dalla fine del 1800 ad oggi. E perché sono state ammazzate? E perché le mafie hanno paura delle donne? Le mafie temono le persone con dignità, le mafie temono le persone con coraggio.
La storia di Lea Garofalo deve essere riconosciuta da tutti, ma questo vale per tutte le altre storie di donne, di uomini, di bambini, di tutti coloro che sono stati ammazzati e chi tutt’oggi combatte le mafie. Bisogna anche tutelare le persone vive.
Lea Garofalo dopo la morte è stata trasformata in una eroina, e non lo era assolutamente come tutti gli uomini che sono stati ammazzati dalle mafie. Non sono degli eroi. Cominciamo ad utilizzare le parole giuste, perché le parole sono straordinariamente importanti. Gli eroi non esistono. “Sfortunato quel paese che ha bisogno di eroi” diceva un altro poeta, Bertolt Brecht.
E’ importante portare nelle scuole la storia di Lea Garofalo ma è importante portare tutte le altre storie dei vivi. Lea Garofalo oggi rientra tra i collaboratori di giustizia. Lea Garofalo non è mai stata una collaboratrice di giustizia bensì una Testimone di Giustizia. Ecco queste anomalie che si continuano a registrare oggi, con i testimoni di giustizia, devono terminare il più presto possibile. L’impegno deve essere da parte di tutto il paese, di tutta l’Europa e anche di altri parti del mondo che devono comprendere che il problema esiste, va studiato, approfondito e si devono tagliare i rapporti assolutamente con la politica. “Il nodo è politico”, diceva Paolo Borsellino. È la politica che ha rafforzato e continua a rafforzare le bande di criminali che potrebbero essere sconfitte se solo ci fosse la volontà politica di farlo. Ma la volontà politica ad oggi non c’è, come non c’era ieri.
Non c’è perché le mafie piacciono a chi deve prendere voti e andare ad occupare poltrone in Parlamento, in consigli comunali, nei consigli provinciali, nei consigli regionali o a livello europeo. Le mafie piacciono perché portano potere e tanti soldi. Questo sistema va scardinato ed è possibile farlo tutti insieme.“Il peggiore analfabeta è l’analfabeta politico” diceva Brecht. E allora nel momento in cui noi iniziamo ad occuparci seriamente della cosa pubblica, terminerà lo spazio vitale di tutte le organizzazioni criminali.
Ed ecco perché il Premio organizzato dall’associazione Dioghenes APS viene fatto nelle scuole: non solo bisogna sconfiggere le organizzazioni criminali ma bisogna sconfiggere la cultura criminale, la cultura mafiosa. E per sconfiggere la cultura mafiosa, la cultura criminale noi abbiamo bisogno delle giovani generazioni.
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