Dov’era Dio? Uscendo dal campo di sterminio nazista di Dachau mi è esplosa in cuore questa domanda, banale forse, retorica può darsi, molto comune sicuramente.
Ma Dio dov’era? Ho continuato a chiedermi dinnanzi a quelle “vestigia” in cui si sono consumati i peggiori crimini contro uomini, donne e bambini. Mi son ricordata che in quel momento avanzavo a me stessa il medesimo interrogativo che Elie Wiesel fece risuonare sulle bocche degli spettatori dell’impiccagione di un bambino (nel suo bellissimo libro La Notte) e le parole annotate da Etty Hillesun, la giovane ebrea addetta allo smistamento dei prigionieri verso il forno crematorio (“L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini”).
Quando, nel percorrere il cammino della Storia si ci imbatte in accadimenti nei quali l’umanità snatura se stessa, degenerando in espressioni di chiara matrice ma di indefinibile genus, allora è legittimo chiedersi se esista un dio che possa tollerare, se quel dio è il Dio padre misericordioso ovvero un dio astorico che abbia abdicato la propria misericordia in nome dell’odio, della violenza, della discriminazione.
Non voglio provocare riflessioni teologiche ma penso che nel momento in cui un uomo si chiede dov’è dio allora quell’uomo scopre il senso e i limiti della propria esistenza, della propria fragilità. Nell’autenticità dell’accezione: fragile (da frangere) designa l’attitudine al cedimento e, dunque, sia la vulnerabilità dinnanzi a qualcosa di più resistente sia, la capacità di cadere in fallo, la duttilità ad essere travolti nell’errore, nella deriva ideologica, nelle insidie opposte dall’oscurantismo, latore di potenza urlata tesa a mascherare l’impotenza naturale, al senso di umanità.
Un dio non si trova nella mercificazione di simboli, in altari traboccanti di orpelli, nella celebrazione di parole. Dio è nell’amore verso l’altro da sé, senza discriminazioni di genere e razza. Non sono necessarie altre specificazioni perché lo si trovi.
A pochi giorni dal Giorno della Memoria, la giornata del 27 gennaio voluta dalla Risoluzione 60/7 dell’Assemblea dell’ONU del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria per commemorare le vittime dell’ Olocausto, condivido questo mio pensiero.
Ritengo che voler cercare Dio nelle terre di martirio rappresenti il modo migliore perché gli uomini, assumendo consapevolezza della propria fragilità nella Storia, non dimentichino di trasmettere alle generazioni a venire le migliori espressioni della propria umanità ricordando anche quelle della propria disumanità.
15 milioni di vittime dell’Olocausto di cui sei milioni ebrei non debbono essere dimenticati.
Penso, in accordo con le parole di Etty Hillesum, che oggi che negazionismo e revisionismo avanzano a gamba tesa (una ricerca Eurispes dello scorso ottobre denuncia che solamente in Italia in circa 15 anni la percentuale di chi non crede all’orrore della Shoah è passata dal 2,7% al 15,6% con un 16% che sostiene che la persecuzione sistematica degli ebrei “non ha fatto cosi’ tanti morti”) bisogna assumere un impegno maggiore nel ricordare gli orrori dell’Olocausto nella consapevolezza che solamente le cose che si dimenticano possono ritornare.
Imparare per non dimenticare
“E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”, scriveva Primo Levi.
In occasione della Giornata della Memoria, Scuola Superiore Sant’Anna, Scuola Normale Superiore, Università di Pisa, Scuola IMT Alti Studi Lucca organizzano per lunedì 27 gennaio la proiezione di “Memoria. I sopravvissuti raccontano”, film del 1997 sulla Shoah italiana, per la regia di Ruggero Gabbai, con il soggetto di Liliana Picciotto e Marcello Pezzetti. La proiezione, aperta la pubblico, avviene alle 18.00 nell’aula magna della Scuola Superiore Sant’Anna, a Pisa, e alle 17.00 presso la sede di IMT Alti Studi, a Lucca. Sarà introdotta da Michele Emdin e Barbara Henry (entrambi della Scuola Superiore Sant’Anna), Elisa Guidi (Scuola Normale Superiore), Saulle Panizza (Università di Pisa) e da Ilaria Pavan (Scuola IMT Alti Studi Lucca) a Lucca.
Durante i loro interventi, relatrici e relatori avranno modo di illustrare il progetto per la costituzione di gruppi di studentesse e di studenti universitari che, dall’8 al 12 maggio, parteciperanno a un pellegrinaggio ai campi di sterminio nazisti organizzato da ANED (Associazione Nazionale ex Deportati nei Campi Nazisti) e dal progetto Promemoria Auschwitz, della Scuola Normale Superiore. Il pellegrinaggio sarà destinato a concludersi con la visita al campo di concentramento di Mauthausen, in occasione dell’80esimo anniversario della Liberazione.
“Memoria. I sopravvissuti raccontano” è un film documentario che raccoglie le testimonianze di 93 ebrei italiani sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. È stato prodotto da Forma International assieme al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, basandosi sul soggetto e sugli studi storici di Marcello Pezzetti e di Liliana Picciotto. La cattura nelle città italiane e la deportazione nei vagoni blindati, l’arrivo e la separazione dai loro cari, la vita nel campo, la liberazione e il loro difficile ritorno sono alcuni dei momenti raccontati.
Con l’introduzione di alcune letture di Giancarlo Giannini tratte da “Se questo è un uomo” di Primo Levi, sono riportate le testimonianze di diversi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz, ricondotti presso gli stessi luoghi della loro prigionia. Oltre alla testimonianza delle sofferenze patite nel campo, sono narrate anche le esperienze legate alle umiliazioni e privazioni subite a causa delle leggi razziali del 1938.
Le testimonianze dei sopravvissuti raccontate nel film sono quelle di Shlomo Venezia, Rubino Romeo Salmonì, Nedo Fiano, Ida Marcheria, Leone Sabatello, Liliana Segre, Alberto Mieli, Goti Herskovits Bauer, Settimia Spizzichino, Piero Terracina, Sabatino Finzi, Elisa Springer, Alberto Sed, Mario Spizzichino, Lina Navarro, Virginia Gattegno, Dora Venezia, Raimondo Di Neris, Matilde Beniacar, Alessandro Kroo, Dora Klein, Luigi Sagi, Elena Kugler. Molti di loro hanno reso testimonianza, fino in età avanzata e poco prima della loro scomparsa, delle drammatiche vicende che hanno vissuto durante la Shoah italiana.
“Ad Auschwitz erano partiti dall’Italia in 5.644 ed erano tornati in 363, meno del 10 per cento”, scrive la sceneggiatrice Liliana Picciotto, storica della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, che prosegue così: “Nel 1994 avevamo ritrovato appunto di loro 93, oggi ne sono vivi pochissimi e questo dà il senso della preziosità del lavoro, della raccolta sistematica delle testimonianze. Non è stato facile trovarli tutti e poi convincere i figli e le mogli che cercavano di proteggerli a ritornare con i ricordi a quel tragico periodo, quando trionfò il nazismo e il fascismo.
Fin da subito, nella fase di progettazione del film, decidemmo, noi due autori, io stessa e Marcello Pezzetti, assieme al regista Ruggero Gabbai, di seguire la lezione di Claude Lanzmann nel suo monumentale film Shoah: riportare le persone sui luoghi dei fatti e non intervistarli nelle loro case di oggi. Abbiamo voluto che ognuno ritrovasse un pezzetto di sé stesso di allora. Abbiamo lasciato i testimoni camminare, meditare, parlare con calma, non incalzati dalle nostre domande, dialogare con la loro memoria (…)
Questo film è pieno di silenzi, a volte anche i silenzi parlano. Il problema della mancanza di senso della Shoah è lasciato aperto. Questo evento sfugge agli strumenti di analisi dei meccanismi della storia. Si può soltanto provare a spiegare, non a capire. E questo emerge benissimo dallo sguardo dolorante, quasi attonito, dei testimoni. (…) L’unica consolazione è che forse la memoria di tutto ciò serva come baluardo affinché atteggiamenti di chiusura, di incomprensione, di non riconoscimento dei diritti degli altri, singoli, atteggiamenti singoli o anche collettivi non abbiano più cittadinanza nel nostro presente”.