Antonio Gramsci nel 2025: l’egemonia culturale nell’era dell’intelligenza artificiale
Sono passati 88 anni dalla morte di Antonio Gramsci, avvenuta il 27 aprile 1937. Ma il pensatore – ucciso dal fascismo – è oggi più vivo che mai. In un mondo attraversato da crisi democratiche, disinformazione di massa e trasformazioni tecnologiche epocali, le sue riflessioni tornano con forza al centro del dibattito culturale e politico.
Gramsci aveva compreso che la lotta politica si gioca sul piano della cultura. L’egemonia, secondo il suo pensiero, non è solo dominio economico o politico, ma soprattutto capacità di imporre una visione del mondo come “normale”. Oggi, nel pieno dell’era dei social media e della guerra informativa, queste parole sembrano profetiche. Basta guardare alla gestione dei contenuti su piattaforme digitali o alle narrazioni che dominano il discorso pubblico per capire quanto sia attuale l’analisi gramsciana: chi controlla il linguaggio, controlla la realtà.
Gramsci distingueva tra “intellettuali tradizionali” e “intellettuali organici”, figure capaci di rappresentare i bisogni e i sogni delle classi subalterne. Oggi ci chiediamo: chi sono gli intellettuali organici del 2025? Sono ancora filosofi e studiosi? O sono i creatori di contenuti, gli attivisti digitali, i giornalisti indipendenti?
L’idea gramsciana si apre a una riflessione fondamentale: la cultura non si trasmette solo dai palchi accademici, ma anche attraverso i video su TikTok, i podcast, le newsletter.
In un contesto dove anche la produzione culturale è sempre più affidata a strumenti automatici, rileggere Gramsci significa chiedersi quale forma di “egemonia algoritmica” stia plasmando le coscienze collettive. L’AI può generare testi, immagini, opinioni.
Ma chi controlla l’algoritmo? Chi decide cosa è vero e cosa è falso?
La sua critica alla passività politica e all’“ottimismo della volontà” rappresenta un argine prezioso contro i populismi di oggi. In un tempo in cui le democrazie sembrano fragili, Gramsci ci ricorda che la politica è educazione, studio, organizzazione.
Nel 2025, Antonio Gramsci è una bussola per orientarsi in tempi confusi. È un invito alla responsabilità intellettuale e alla costruzione di un senso critico collettivo.
“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza”.
Antonio Gramsci: vita, pensiero e attualità di un gigante del Novecento
Chi era Antonio Gramsci? Filosofo, politico, giornalista, teorico marxista e fondatore del Partito Comunista d’Italia. Nato ad Ales, in Sardegna, nel 1891, Gramsci è stato uno dei pensatori più influenti del Novecento, studiato in tutto il mondo – dagli Stati Uniti all’India – per la sua capacità unica di leggere la realtà con occhi rivoluzionari e profondamente umani.
La sua produzione più importante nasce in condizioni estreme: in carcere. Arrestato dal regime fascista nel 1926, Gramsci passò quasi dieci anni nelle prigioni di Mussolini, in condizioni di salute precarie. Fu proprio lì che scrisse i famosi “Quaderni del carcere”, una raccolta monumentale di riflessioni su filosofia, politica, storia, letteratura, pedagogia.
I Quaderni non sono semplici testi marxisti. Sono un laboratorio di idee: Gramsci rielabora il pensiero di Marx, critica il determinismo economico e sviluppa concetti rivoluzionari come:
Egemonia culturale: il potere non si impone solo con la forza, ma soprattutto con il consenso, attraverso la cultura, l’educazione, i media.
Intellettuali organici: ogni classe sociale ha bisogno dei suoi intellettuali per costruire e legittimare la propria visione del mondo.
Blocco storico: l’unione tra struttura economica e sovrastruttura culturale che tiene insieme una società.
Rivoluzione passiva: trasformazioni politiche e sociali calate dall’alto senza reale partecipazione delle masse.
Accanto ai Quaderni, ci sono le “Lettere dal carcere”, testimonianza commovente della sua forza morale e intellettuale, scritte con lucidità e dolcezza, spesso indirizzate alla famiglia, in particolare alla moglie Giulia Schucht e ai figli.
Gramsci e la cultura: un marxismo umanista. Gramsci ha portato il marxismo fuori dalle fabbriche e dentro le scuole, le redazioni, le biblioteche. Non basta cambiare i rapporti di produzione, diceva: bisogna trasformare anche la mentalità delle persone, il senso comune, per creare una vera alternativa al potere dominante.
Per questo Gramsci si interessava alla scuola, all’educazione dei bambini, alla letteratura popolare. Era convinto che ogni uomo, ogni donna, ogni contadino potesse essere un filosofo. Un’idea radicalmente democratica del sapere, che oggi torna urgente.
Gramsci è stato tradotto in oltre 30 lingue. In Sud America è venerato come un profeta della liberazione. In India i suoi testi sono studiati nelle università. Negli USA è considerato un classico del pensiero politico. E in Italia?
Spesso dimenticato, o confinato nei manuali. Eppure, mai come oggi il suo pensiero è necessario.
Antonio Gramsci non è solo il ritratto appeso alle pareti delle vecchie sezioni di partito. È una voce viva, pungente, generosa. Un intellettuale che ha pagato con la prigione la sua coerenza, ma che ha saputo trasformare la sofferenza in pensiero.
Leggerlo oggi significa interrogarsi sul potere, sulla cultura, sulla libertà.
“Odio gli indifferenti. Vivere vuol dire essere partigiani.”
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