Il 9 maggio 1978 viene ritrovato il corpo di Aldo Moro e l’Italia è colpita nel cuore della democrazia. Tutti, giustamente, sono concentrati su ciò che succede a Roma. Ma, nel frattempo, nella notte tra l’8 e il 9 maggio a Cinisi, in provincia di Palermo, scoppia una bomba sui binari. Con la bomba salta in aria Peppino Impastato, comunista che con la sua Radio Aut si era permesso di attaccare Gaetano Badalamenti, in quel momento il capo più importante di cosa nostra, e gli interessi e intrecci con la politica di Cinisi ma non solo. Proprio per questo, e per il suo essere comunista, viene messo in atto un depistaggio lungo 22 anni. Una parte dello Stato, precisamente la commissione parlamentare antimafia, nel 2000 ha il coraggio di scrivere nero su bianco che quello di Peppino Impastato è stato un omicidio mafioso e a scrivere del lungo depistaggio. Depistaggio messo in atto anche dall’allora maggiore Antonio Subranni, che in qualità di comandante del Reparto operativo del comando provinciale dell’Arma di Palermo indagò sulla morte di Peppino. Fin da subito seguì la pista dell’attentato terroristico andato male non pensando minimamente che possa essere stata la mafia su ordine di Badalamenti. Lo stesso poi lo ritroveremo nel processo Trattativa Stato-Mafia condannato in primo grado e poi assolto in appello e cassazione.
Successivamente ci furono le condanne nel 2002 come mandante dell’omicidio di Peppino a Badalamenti e a Vito Palazzolo.
Oggi sono passati 47 anni da quell’omicidio e la storia di Peppino riesce a coinvolgere tutta Italia, e non solo, ma soprattutto i giovani. Casa Memoria a Cinisi, la casa dove ha vissuto Peppino con la sua famiglia, accoglie giornalmente persone e scolaresche da ogni parte. Al corteo del 9 maggio, che dalla sede di Radio Aut di Terrasini ha raggiunto Casa Memoria a Cinsi, hanno partecipato circa 5 mila persone, tra cui molte scuole. La figura e la storia di Peppino riesce a sensibilizzare di più i giovani “per la sua giovane età” affermano in massa, anche perché quando è stato ucciso Peppino aveva 30 anni.
Nell’organizzazione degli eventi di quest’anno si è voluto dare un risalto importante, oltre alla lotta alle mafie, alla lotta al nazifascismo e al brutale Genocidio in corso a Gaza.
A fine corteo gli interventi dal balcone di Casa Memoria, dove hanno parlato rappresentanti della CGIL, Luisa Impastato e Jamil El Sadi, della comunità palestinese, proprio per rimarcare questa vicinanza.
Quest’anno, inoltre, tutti gli eventi sono stati dedicati a Piero Impastato, cugino e compagno di Peppino scomparso prematuramente.
Ecco il discorso di Luisa:
Buon pomeriggio a tutte e tutti e grazie, grazie per essere così numerosi.
Oggi ricorre il quarantasettesimo anniversario dell’omicidio mafioso di Peppino Impastato e ancora una volta ci ritroviamo insieme per ricordare le sue lotte, le sue idee e per farle nostre.
Ancora una volta possiamo dimostrare che chi, dopo il suo assassinio, non si è arreso alla volontà di ucciderlo due volte – con il tritolo la prima, facendolo passare per terrorista poi – aveva ragione.
Aveva ragione Felicia, che con la sua volontà di difendere la memoria del figlio ha consegnato questa storia alle nuove generazioni, rompendo con determinazione una tradizione mafiosa che imponeva soprattutto alle donne il silenzio. Possiamo ribadire di nuovo che difendere la sua storia e continuare a diffondere la sua memoria ha avuto un senso, perché la sua azione politica non è morta con lui.
Ancora una volta possiamo dimostrare, quindi, che nella storia di Peppino non è stata la mafia a vincere.
Peppino ha denunciato la mafia dal cuore stesso del suo territorio, in un tempo in cui farlo voleva dire firmare la propria condanna a morte. Lo ha fatto a partire da se stesso, dalla conflittualità con il mondo a cui apparteneva, da figlio di un mafioso e nipote di un capomafia.
Non lo ha fatto da eroe solitario, ma da militante comunista, da attivista, da uomo libero.
Purtroppo, però, è vero anche che se ancora ci ritroviamo a rivendicare quelle battaglie in cui continuiamo a riconoscerci, significa che non sono cambiate le condizioni.
Solo pochi mesi fa sono state arrestate più di 180 persone, tra Palermo e provincia, Cinisi compresa, e questo ci ha dimostrato ancora una volta la capacità riorganizzativa della mafia e soprattutto la ricerca di nuove forme d’adattamento e di controllo.
Ma la mafia non è solo una struttura criminale.
La mafia è un sistema di potere.
È il volto violento di un modello economico e sociale che sfrutta, devasta, inquina, ricatta.
È dove si cementificano i territori, dove si tagliano i diritti in nome del profitto.
È dentro le speculazioni, le grandi opere inutili, la precarietà, la povertà pianificata.
Peppino ci ha insegnato che la lotta alla mafia è anche lotta per la giustizia sociale. È lotta di classe. È difesa della scuola pubblica, della sanità per tutte e tutti, del lavoro dignitoso.
È lotta contro chi privatizza tutto, contro chi sfrutta braccia e menti, contro chi fa affari sulle nostre vite.
Mentre noi siamo qui a ricordare chi ha lottato per un’idea di mondo più giusto e libero, in Italia si tagliano i diritti, si reprimono i movimenti, si criminalizza il dissenso. Si spingono leggi autoritarie, si attaccano studenti, si tolgono spazi di parola e di organizzazione.
Ad 80 anni dalla liberazione dell’Italia dal nazifascismo, oggi vediamo un governo che usa parole e pratiche fasciste, che nega la storia della Resistenza, che strizza l’occhio ai poteri forti e reprime chi alza la testa.
E fuori dai nostri confini, la guerra diventa linguaggio quotidiano.
Dalla Palestina all’Ucraina, dal Mediterraneo ai confini d’Europa, assistiamo a un mondo che brucia per interessi geopolitici ed economici, fomentando l’odio tra i popoli. E chi governa, anziché costruire pace e giustizia, aumenta le spese militari, firma accordi con regimi autoritari, vende armi, chiude porti, costruisce muri.
Chi ci governa disattende a un mandato di cattura dell’Aja e rimanda in Libia un criminale a bordo di un volo di Stato. Chi ci governa deve spiegare perché dei giornalisti di Fanpage e gli attivisti di Mediterranea sono stati spiati da un programma in uso ai servizi segreti.
Oggi, in questo corteo, ci riconosciamo in un’altra idea di mondo. Un’idea fondata sulla giustizia sociale, sull’uguaglianza, sulla libertà, sulla pace.
Un mondo che non si arrende all’ingiustizia, che non si piega alla paura, che non dimentica chi ha scelto da che parte stare.
Oggi più che mai pensiamo che sia importante parteggiare e partecipare: partecipare con i nostri corpi, con le nostre azioni e con le nostre voci, anche e soprattutto per dare voce a chi ci dà ancora oggi la forza di lottare, ma una voce non ce l’ha più come Peppino Impastato o a chi non può farla sentire perché coperta dalle bombe o dalle macerie, come la voce del popolo palestinese.
Per questo oggi abbiamo aderito alla mobilitazione internazionale che denuncia il silenzio e l’immobilità dell’Unione Europea e della comunità internazionale di fronte allo sterminio che il governo israeliano sta perpetrando nei confronti della Striscia di Gaza. “A Gaza ogni ora ha il sapore di un’ultima ora”, diceva Vittorio Arrigoni, prima di essere ucciso, nel 2011. E ora non c’è più tempo. potrebbe essere l’ultimo giorno di Gaza.
Ora più che mai: Restiamo umani.
Come Peppino pensiamo che l’antimafia sociale debba mettere al centro la difesa della dignità umana, dei diritti di tutte e tutti, come il diritto al lavoro e alla sicurezza: come il diritto a non morire mentre si sta lavorando, come successo recentemente a un nostro concittadino, Piero Zito, morto a soli trentacinque sul lavoro. Il suo nome si aggiunge a una lunga lista di vittime di incidenti sul lavoro, che ci ricorda che il lavoro deve essere un diritto e non una condanna a morte
E contro lo sfruttamento e per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, Casa Memoria sostiene e promuove il referendum dell’8 e 9 giugno.
Come Peppino, pensiamo praticare l’antimafia sociale significhi anche lottare contro quel Sistema culturale mafioso che supporta la mafia e ne garantisce sopravvivenza. Contro una mentalità che si alimenta nel vuoto valoriale e dell’isolamento delle vulnerabilità sociali.
Quello che è successo a Monreale nei giorni scorsi, per esempio, è solo l’ultimo frutto di questa mentalità della prevaricazione che ci riguarda, ancora una volta, tutte e tutti.
Il sintomo di un sistema malato che normalizza sempre più spesso l’uso della violenza e che legittima l’odio e la sopraffazione. Il risultato di un vuoto educativo e valoriale sempre più disumanizzante, che mi preoccupa più da madre che da cittadina.
Sicuramente questo ci chiama all’analisi e all’autoanalisi rispetto agli interventi fatti, ai fallimenti e alle pratiche da perseguire.
Il confronto con le nuove generazioni in tutti questi anni ci ha portato a capire quanto sia determinante fornire spazi di espressione che non siano però solo virtuali e costruire innanzitutto una scuola che diventi il luogo in cui si produce pensiero critico, che formi cittadini liberi e consapevoli.
Ma soprattutto una società che accolga, non giudicante, che metta al centro il valore del rispetto e della
solidarietà, invece di criminalizzarli, che garantisca alternative concrete e credibili e misure sociali adeguate e opportunità, fondamentali per togliere ai giovani l’attrazione per la mafia e la violenza.
Per costruire fiducia contro un clima di rassegnazione, insistere sull’educazione invece che sulla repressione.
Farlo anche con la memoria , che ci aiuta ad avere punti di rifermento giusti e ci danno la forza di continuare a lottare.
Volevo concludere questo intervento con dei ringraziamenti: sono stati mesi complessi, quest’anno Casa Memoria ha dovuto affrontare non poche difficoltà e siamo arrivati a questo 9 maggio, non possiamo negarlo, con molta fatica, ma con lo stesso entusiasmo con cui ogni giorno, assieme agli attivisti che a Casa Memoria accolgono centinaia di persone, portiamo avanti questo impegno e questa storia.
E allora voglio ringraziare soprattutto loro, i miei compagni e le mie compagne di Casa Memoria, che hanno fatto propria questa storia e questa casa che mia nonna e mio padre hanno voluto diventasse luogo collettivo, come collettiva è la storia di Peppino che oggi continuiamo a trasmettere.
Difenderemo sempre questo impegno e questi spazi, così come abbiamo fatto con il casolare dove è stato ucciso 47 anni fa Peppino, da qualche giorno consegnato a Casa Memoria, all’Associazione Impastato e al Centro Impastato, dopo anni di impegno e battaglie per salvarlo dall’incuria e restituirgli la dignità che un luogo di memoria così importante merita.
Voglio ringraziare però anche tutte e tutti voi, tutte le persone che ci hanno dimostrato il loro sostegno, che credono in questa storia, che credono in noi, ma soprattutto che non hanno mai smesso per un attimo di dimostrare condivisione e affetto nei confronti di Peppino.
Questa per noi è la cosa più importante.
Grazie a chi ci accompagna in questo percorso, a chi ha contribuito a costruire collettivamente questo 9 maggio.
Grazie a chi ci ha consegnato questa storia. A Musica e Cultura, alla Pro Loco, alla scuola e al Comune di Cinisi.
Grazie a Peppino e Felicia per il loro esempio.
Voglio ringraziare i rappresentanti delle istituzioni che sono venuti qui da diverse parti d’Italia : da Alpignano, Monteroni, Anzola, Sant’Anna di Stazzema, Caselette, Dolzago e tanti altri.
Ma c’è una persona soprattutto che voglio ringraziare più di tutti e ricordare, e non è casuale che abbia deciso di farlo alla fine, perché so che non sarei riuscita a continuare il mio discorso, perché in questi giorni in particolare ci manca incredibilmente.
Voglio ringraziare Piero, Piero Impastato.
Un compagno vero, un amico vero, un vero uomo di pace. Piero ci ha sostenuto e supportato sinceramente, accompagnandoci sempre come uno zio affettuoso e che ci manca tantissimo. La sua è un’assenza immensa, che ci impegneremo a colmare con i bei ricordi che ci lascia e assumendoci la responsabilità del suo esempio.
Piero e Peppino, le vostre idee non moriranno mai.
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tutte le foto di Antonino Schilirò