«Vogliamo sapere cosa è successo. Nostro padre non avrebbe mai lasciato la sua casa e i suoi affetti in quel modo. Merita verità e rispetto». Sono nette e decise, precise e incontrovertibili le parole di Yann e Claire Pomone, i figli di Philippe. Esattamente un anno fa da Atessa il cittadino francese Philippe Pomone è scomparso, come inghiottito da un buco nero. I familiari non hanno più sue notizie ed è sparito, apparentemente nel nulla.
I fratelli Pomone vivono nel limbo dell’attesa, nella terra di mezzo dell’incertezza. Quella terra di mezzo che, come riportato dall’associazione Penelope nel dicembre scorso, negli ultimi cinquant’anni ha catturato le famiglie di oltre mille persone, cento solo in sei mesi del 2024.
Dov’è Philippe Pomone? Che fine ha fatto? Perché è sparito da un anno? Sono le domande che i figli pongono. E con loro l’associazione Penelope. Domande che si aggiungono a dubbi, zone d’ombre, incongruenze, sottovalutazioni di atti e fatti, dati e circostanze. Un triste copione che si ripete, ancora una volta. C’è da riflettere sul numero enorme, immenso, di persone scomparse, di vite umane inghiottite da buchi neri. Ma non è astronomia, sono vita reale che non può essersi dissolta come cerchi nell’acqua.
A luglio dell’anno scorso il primo appello dell’associazione Penelope e la prima istanza all’autorità giudiziaria e alle forze dell’ordine. Il 29 settembre 2024 l’associazione ha organizzato una giornata di ricerca tra Atessa e Casalbordino. Tre giorni prima, ma i familiari e Penelope ne hanno avuto notizia solo oltre cinque mesi dopo, la Procura di Lanciano ha archiviato il fascicolo. Fascicolo che era stato iscritto nel registro degli “atti non costituenti notizie di reato” (modello 45) dopo la prima denuncia di scomparsa da parte del figlio di Philippe Pomone, Yann, e dell’associazione Penelope.
Tante le domande e gli interrogativi posti dall’associazione, che ha sempre continuato a portare avanti ricerche e inchieste sulla scomparsa di Philippe Pomone. Giunti anche alla ribalta nazionale televisiva grazie alla trasmissione “Chi l’ha visto?”. Come abbiamo cercato di raccontare costantemente in questi mesi.
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Chi conosce la sorte di Philippe Pomone? Chi si nasconde dietro la sua scomparsa? Qualcuno è rimasto in questi mesi in silenzio e perché? Isola felice per materassi di piume e ignavi, ciechi di comodo, alcune volte complici, l’Abruzzo nasconde ampi ventri oscuri, mondi di mezzo e di sotto all’ombra delle classi del mondo di sopra. Lo raccontiamo da cinque anni, lo abbiamo raccontato innumerevoli volte negli 18 anni su tante pagine. Qualcuno di questi, come “Chi l’ha visto?” ha ipotizzato nel novembre scorso, ha incontrato il cammino di Philippe?
«Frettolosa e inaccettabile» è stata definita l’archiviazione del 26 settembre da Penelope. «Il silenzio che avvolge il suo caso continua a pesare come un macigno sulla sua famiglia e sull’intera comunità» sottolinea l’associazione. «Non possiamo accettare l’ipotesi dell’allontanamento volontario – ha dichiarato Alessia Natali, presidente di Penelope Abruzzo – ci sono elementi gravi e inequivocabili che meritano un approfondimento serio e non una chiusura sommaria». Una memoria legale chiedendo la riapertura delle indagini è stata depositata dall’associazione con l’avvocato Katia Ferri alla Procura di Lanciano.
«Troppe incongruenze, troppi silenzi» evidenzia Penelope: «Secondo la ricostruzione dei familiari, Philippe Pomone ha lasciato la casa aperta, con un tablet in carica, senza documenti né effetti personali: nessuna carta d’identità, nessun passaporto o patente – riporta l’associazione – dal 1° giugno 2024 nessuna spesa o prelievo è stato più registrato, mentre in precedenza l’uomo era solito utilizzare quotidianamente carte e bancomat. All’interno dell’abitazione erano presenti scritte sui muri, segni di disordine e possibili tracce di effrazione: elementi che, secondo l’associazione, non sarebbero stati adeguatamente analizzati».
«Testimonianze ignorate» rende noto l’associazione impegnata da decenni sul fronte delle persone scomparse: «Tra i punti critici dell’inchiesta, l’associazione evidenzia la mancata audizione di testimoni chiave, come il tassista che la sera del 31 maggio avrebbe riportato Philippe da un ristorante cinese di Pescara (lo “Shanghai”) ad Atessa, e una tassista che avrebbe trattenuto effetti personali dell’uomo per due mesi senza comunicarlo alle autorità».