L’8 e 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati a esprimersi su referendum fondamentali per i diritti sociali e civili. Ma c’è un grande assente che, ormai da tempo, rischia di condizionare ogni tornata elettorale: la partecipazione.
Il diritto di voto – sancito dalla Costituzione all’articolo 48 – non è una formalità. È l’anima della democrazia, il gesto minimo ma potente con cui ogni cittadino può influenzare il futuro della comunità. Eppure, sempre più spesso, si trasforma in una casella vuota, in una scelta delegata ad altri, in un silenzio che pesa.
L’astensionismo: la vera piaga democratica
In un Paese in cui l’astensionismo ha raggiunto livelli allarmanti, votare non è più solo un diritto: è una forma di resistenza civile. L’invito all’astensione che arriva da parte di alcune forze politiche è un segnale grave, che mortifica la partecipazione e il confronto. Non votare non è mai una forma di protesta efficace. È una resa.
I referendum in programma toccano temi vitali: dignità del lavoro, diritti dei più deboli, giustizia sociale. Sono quesiti che parlano alle nostre vite quotidiane, alle tutele sul lavoro, alla possibilità per ognuno di noi di vivere in un Paese più equo.
Il voto come atto di libertà
Chiunque tenti di svilire l’importanza di questa chiamata alle urne, chi predica l’inutilità del voto, chi insinua che tutto sia già deciso, sta contribuendo a erodere la base stessa della cittadinanza attiva.
Votare è scegliere. È prendere posizione. È impedire che altri decidano al nostro posto. È dire “io ci sono”. È ricordare che la Repubblica, come dice l’art. 1 della Costituzione, è fondata sul lavoro, ma vive attraverso il popolo sovrano che partecipa.
L’8 e il 9 giugno: vai a votare
Non importa quale sia la tua opinione sui quesiti referendari. Ciò che importa è esserci. Perché se rinunciamo oggi, domani potremmo ritrovarci a non avere più nemmeno la possibilità di scegliere.
Immagine IA