A 41 anni dalla sua scomparsa, il pensiero di Enrico Berlinguer è più vivo che mai. In un’Italia smarrita tra astensionismo e disillusione, la sua voce torna a scuotere le coscienze.
11 giugno 1984. A Padova, dopo un comizio drammatico in cui Enrico Berlinguer sfidò ancora una volta il cinismo della politica italiana, crolla sul palco. Morirà pochi giorni dopo, lasciando un vuoto che – 41 anni dopo – non è mai stato colmato.
Oggi il suo nome non è solo memoria, è urgenza politica. La sua visione etica della politica, la denuncia della questione morale, il rigore personale e il legame profondo con il popolo – quello delle periferie, delle fabbriche, delle scuole – risuonano più attuali che mai.
“I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia,” diceva nel 1981.
Mentre l’Italia affonda nell’astensionismo, nel populismo, nella sfiducia generalizzata, il messaggio di Berlinguer torna come una domanda aperta: è ancora possibile pensare una politica pulita, radicata nella Costituzione, al servizio del bene comune?
La sua figura resta simbolo di coerenza, di sobrietà, di resistenza civile. Il suo Partito Comunista era ancora popolare, ancora di massa, ma lui capì per primo che la sinistra doveva farsi etica, non solo ideologia.
Berlinguer morì da militante, da combattente. Non abbandonò mai il campo. Continuò a parlare anche quando il suo corpo non reggeva più. Morì pochi giorni dopo quel comizio, l’11 giugno, lasciando un popolo in lacrime, e un’Italia orfana di uno dei suoi ultimi statisti autentici.
“La sua morte è stata il funerale di una Repubblica fondata sulla dignità”, scrisse qualcuno.
Nel tempo della crisi della politica, della distruzione delle ideologie, del trionfo dell’individualismo e del marketing, Enrico Berlinguer è l’antitesi vivente di questa deriva.
La sua figura è oggi recuperata da giovani militanti, associazioni, intellettuali, semplici cittadini. Perché la questione morale non è passata di moda: è rimasta senza risposta.