Tonino Braccia racconta la strage di Bologna: «Lo Stato è la mafia». Dodicesima puntata di “30 minuti con…”
«A 19 anni non si può morire». Tonino Braccia, superstite della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, ha raccontato in lacrime la sua drammatica esperienza nella dodicesima puntata di “30 minuti con…”, il format di WordNews.it ideato e condotto dal direttore Paolo De Chiara, con Antonino Schilirò in studio.
Una puntata intensa, trasmessa anche su TikTok, dedicata a quella che viene definita senza mezzi termini una strage di Stato, parte di un filo rosso che parte da Portella della Ginestra (1° maggio 1947) e attraversa tutta la storia italiana: da Piazza Fontana, a Brescia, all’Italicus, al treno 904, fino a oggi. Una strategia della tensione che – come ha ricordato Braccia – «non è mai terminata».
Alle 10:25 del 2 agosto 1980, una bomba esplode nella sala d’attesa della stazione di Bologna: 85 morti, oltre 200 feriti. Tonino Braccia, giovane poliziotto in viaggio per raggiungere la famiglia, si ritrova sepolto sotto le macerie, gravemente ferito. Per mesi rimane ricoverato, subendo oltre 35 interventi chirurgici. Ma le ferite più profonde, ha sottolineato, «sono nell’anima, non nel corpo».
Nel corso della puntata, Tonino ha ripercorso attimo per attimo quella mattina infernale: l’esplosione, la confusione, la consapevolezza di essere sotto un treno, il sangue, la paura, il senso di abbandono. Una testimonianza cruda, carica di dolore e lucidità.
«Io non credo più nello Stato – ha affermato con forza – perché dopo quella strage è lo Stato che ci ha traditi. I veri mandanti non sono mai stati puniti. La mafia è lo Stato».
Parole durissime, supportate da riferimenti precisi alla loggia P2, ai servizi segreti deviati, alla massoneria e ai depistaggi istituzionali, come quello della “pista palestinese” indicata da Francesco Cossiga.
Braccia ha raccontato anche il suo personale viaggio giudiziario: ha partecipato a tutti i processi, riconosciuto in aula Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini, Paolo Bellini e altri imputati legati al terrorismo nero. «Si prendevano gioco di noi anche in aula», ha detto.
Il suo grido più forte è rivolto ai giovani:
«Studiate, fate politica, mettetevi in gioco. Cambiate questo Paese. Io non l’ho potuto fare: non ho mai potuto abbracciare i miei figli, non li ho mai portati in bicicletta, non sono mai andato con loro allo stadio. Ho vissuto 64 anni con queste ferite. Ma spero che nessun altro debba mai sopportare tutto questo».
Ma il momento più toccante arriva sul finale, quando Tonino Braccia, con voce spezzata dall’emozione, confessa:
«Avrei preferito morire quel giorno. Almeno qualcuno avrebbe portato un fiore sulla mia tomba. Invece ho vissuto una vita fatta di dolore, cicatrici e rinunce. Non ho mai potuto giocare con i miei figli, non li ho mai presi in braccio, non ho insegnato loro ad andare in bicicletta. Non sono mai andato con loro a una partita, a una festa. Ho avuto paura della folla, del rumore, della vita stessa.
Sono rimasto per anni con la pancia aperta, pieno di drenaggi, con il corpo distrutto. Ma il vuoto più grande è dentro.
Ho vissuto 64 anni così. Buttati».
Parole che non chiedono pietà, ma giustizia. E memoria.
La puntata – disponibile su WordNews.it, Spotify e YouTube – si inserisce in un percorso costruito da De Chiara e Schilirò per dare voce a testimoni di giustizia, familiari di vittime, superstiti, magistrati e giornalisti impegnati nella verità. Un format indipendente, necessario, che fa della memoria una forma di resistenza civile.