Una colonna sonora che parla. Che vibra nell’aria come un simbolo. Durante la celebrazione religiosa del matrimonio tra un appartenente alla famiglia Porricelli e una D’Avino, nel cuore vesuviano dove la camorra ha lasciato ferite ancora aperte, le note de “Il Padrino” sono risuonate dentro una chiesa.
Non una sala per ricevimenti. Non un teatro. Una chiesa, luogo sacro e simbolico. Luogo dove si celebra il mistero della fede e non la cultura del dominio, del sangue e del sopruso.
Il sacerdote che ha officiato la cerimonia, Don Nicola, è rimasto in silenzio. Non ha commentato, non ha spiegato, non ha chiarito.
Abbiamo provato a contattarlo telefonicamente per ben cinque volte, lasciando messaggi e richieste di chiarimento. Non abbiamo mai ricevuto risposta.
E quel silenzio oggi pesa. Fa rumore. Solleva domande: sapeva o no? Ha autorizzato o ignorato? È stato complice o vittima di una messinscena simbolica?
In ogni caso, il punto centrale non è la colonna sonora in sé. È il contesto, è il messaggio, è l’associazione simbolica tra l’altare e il potere criminale che in quella musica si riverbera. In una terra come Somma Vesuviana, dove la camorra non è un ricordo, ma una realtà, il suono de Il Padrino in chiesa non può essere un incidente.
È una ferita. Un cortocircuito tra fede e spettacolo, tra legalità e silenzio.
La Chiesa cattolica ha un compito: condannare con forza ogni forma di mafia e cultura criminale. Lo ha fatto, con coraggio, Don Pino Puglisi a Brancaccio, lo ha gridato Don Peppe Diana a Casal di Principe: «Per amore del mio popolo, non tacerò!»
Non si tratta di prediche astratte. Si tratta di scelte concrete, di simboli da rifiutare, di musiche da silenziare. La camorra non è tradizione, non è cultura. È morte, violenza, devastazione.
Tutto ciò che il Vangelo combatte.
Un sacerdote non può permettere che si usino i riti cristiani per legittimare simbolicamente famiglie legate alla criminalità. Non può restare in silenzio mentre l’estetica mafiosa si infiltra tra i banchi della fede. Perché ogni silenzio è complice.
E ogni assenza di condanna è letta come assenso.
Noi crediamo nel cambiamento, nel pentimento, nella possibilità di riscatto. Ma il cambiamento è un atto pubblico di rottura con il passato, un grido netto contro la camorra.
Non basta andare a messa. Non basta fare un’offerta. La fede non si compra. Si vive. Nei gesti, nelle parole, nelle scelte. Chi ha educato per anni i propri figli alla violenza deve avere il coraggio di dire: “ho sbagliato”, “la camorra è il male”, “fa schifo”.
Ecco perché chiediamo a Don Nicola di parlare. Di spiegare. Di chiarire se c’è stata leggerezza o consapevolezza. Perché il suo silenzio, oggi, pesa su tutta la comunità. E perché, proprio nei territori più feriti, la Chiesa deve essere voce di speranza e non eco di ambiguità.
«Per amore del mio popolo, non tacerò!»
Ecco il vero sottofondo che dovrebbe accompagnare ogni matrimonio, ogni battesimo, ogni messa.
Nozze sulle note de Il Padrino e i legami scomodi della famiglia Porricelli