Con un’operazione durata meno di 48 ore ma preparata da mesi, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco militare senza precedenti contro tre dei principali impianti nucleari iraniani. I bombardieri B-2 Spirit, partiti da una base in Missouri, hanno attraversato l’Atlantico e raggiunto il Medio Oriente dopo 37 ore di volo ininterrotto, effettuando più rifornimenti in volo.
Secondo quanto riportato da Fox News, sei bombe bunker buster GBU-57, da oltre 13 tonnellate ciascuna, sono state sganciate sul sito sotterraneo di Fordow, mentre 30 missili Tomahawk, lanciati da sottomarini americani a 400 miglia di distanza, hanno colpito Natanz e Isfahan.
La versione dell’Iran: “Evacuati prima dell’attacco”
Fonti governative iraniane hanno dichiarato all’agenzia SNN che le strutture erano state evacuate in anticipo, riducendo al minimo le perdite. Tuttavia, le immagini satellitari e le testimonianze raccolte suggeriscono danni considerevoli agli impianti, in particolare a Fordow.
In risposta, Teheran ha colpito Israele con una pioggia di missili diretti contro Tel Aviv, Haifa e altre zone settentrionali e centrali, causando almeno 20 feriti.
“Una risposta è obbligatoria”: l’analisi di Al Jazeera
In un’intervista a Al Jazeera, il professor Mehran Kamrava, docente di Government alla Georgetown University in Qatar, ha dichiarato:
“La regione è piena di basi americane: ci sono oltre 40.000 soldati. Un comandante iraniano una volta mi disse: questo significa che abbiamo 40.000 obiettivi.”
Kamrava ha poi aggiunto che Teheran dovrà reagire politicamente e militarmente:
“Non possono semplicemente accettare la narrativa di Trump. La loro risposta potrebbe essere calibrata, come dopo l’uccisione del generale Soleimani nel 2020, ma sarà inevitabile.”
Questo conferma il rischio di una escalation non lineare, fatta di attacchi indiretti, cyber-sabotaggi, attentati mirati o assalti a interessi USA in Siria, Iraq, Bahrein, Kuwait.
Condanna e silenzio: le reazioni globali
L’Oman, già protagonista di mediazioni nei negoziati sul nucleare, ha condannato l’attacco parlando di “violazione flagrante del diritto internazionale” e chiedendo “una de-escalation immediata”. Il Qatar ha parlato di “ripercussioni catastrofiche”, mentre l’Iraq ha definito il raid “una minaccia alla pace regionale”.
In Europa, l’Alta rappresentante UE Kaja Kallas ha chiesto il ritorno al dialogo:
“Esorto tutte le parti a tornare al tavolo dei negoziati. L’Iran non può sviluppare l’arma nucleare, ma la via militare non è la soluzione.”
Il Regno Unito, informato in anticipo dell’attacco ma non coinvolto, ha confermato tramite il ministro Jonathan Reynolds che non è stata richiesta l’uso della base di Diego Garcia, lasciando intendere una volontà USA di agire unilateralmente.
Trump rilancia la sua dottrina muscolare
La mossa di Trump risponde a una logica elettorale e geopolitica. Vuole presentarsi come l’uomo forte della sicurezza globale, capace di fermare il “pericolo iraniano” e di rilanciare il ruolo guida degli USA nel mondo. Ma dietro la retorica muscolare, si cela il rischio concreto di un conflitto aperto su più fronti.
Teheran, da parte sua, ha chiesto all’AIEA di condannare l’attacco e di aprire un’indagine internazionale. Il capo del programma nucleare, Mohammad Eslami, ha inviato una lettera al direttore Rafael Grossi parlando di “grave violazione del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP)”.
Il Medio Oriente oggi è un campo minato geopolitico, dove ogni scintilla può diventare esplosione. Gli scenari possibili:
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Guerra totale USA-Iran: con Israele coinvolto, milizie sciite attive, e reazioni russe e cinesi.
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Conflitto ibrido: sabotaggi, attacchi a navi nel Golfo, guerriglia diplomatica.
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Tregua imposta: pressioni ONU e UE per fermare la spirale prima del punto di non ritorno.
La domanda che resta sospesa è la più scomoda: chi decide quale guerra è “legittima”? L’uso della forza è diventato l’unica lingua ammessa nelle relazioni internazionali? Il doppio standard – duro con l’Iran, cieco su Gaza – distrugge la fiducia nel diritto internazionale.
Il mondo, oggi, guarda a una scelta cruciale. Continuare a credere che le bombe portino la pace. Oppure riscoprire il coraggio della diplomazia, prima che sia troppo tardi.