«Salvate Eugenio»: l’appello disperato contro la nuova camorra dei baby boss
La mela, dicono, non cade mai lontano dall’albero. Ma a volte, quella mela – se lasciata marcire nel silenzio – diventa un simbolo amaro di un’intera comunità che ha smesso di reagire.
Eugenio è solo un ragazzo. Ma dietro il suo nome si nasconde una storia che fa tremare i polsi: è il nipote di un ex boss di camorra, condannato all’ergastolo per l’omicidio di due innocenti. E da quell’albero velenoso, Eugenio ha attinto il mito, l’esempio, la retorica del potere criminale. A soli quattordici anni – dai social ai comportamenti in strada – si atteggia a baby boss, incensato e utilizzato da pregiudicati adulti che lo usano come carne da macello nel nome del “numero 22”, il simbolo del nuovo culto criminale a Somma Vesuviana.
Eppure, ciò che ferisce di più non è solo l’arroganza di questo giovane guappo da parco, ma l’indifferenza colpevole dei suoi genitori. Che fanno? Dove sono? Perché lasciano che un figlio cada nel buco nero della camorra senza muovere un dito?

Eugenio è ancora un minore, un adolescente, un ragazzo che potrebbe avere un futuro. Eppure il contesto in cui vive – tra spacciatori, pregiudicati, assenza di regole e cultura – lo sta plasmando per diventare un’altra pedina sacrificabile del sistema criminale.
Non è un gioco, non è una fiction. È l’inizio di una carriera criminale. E se non si interviene subito, si concluderà – come tante altre – in una cella o sotto una lapide.
“Eugenio, cambia vita finché sei in tempo. Chiedi aiuto. Allontanati dal mondo criminale. La giustizia farà il suo corso. Ma tu puoi ancora salvarti.”
Questo è il grido che lancio come testimone di giustizia e come uomo che ha scelto di rompere il muro dell’omertà. Ma questo appello non è solo per Eugenio. È per i genitori, per la comunità del Parco Fiordaliso, per chi ancora può fare la differenza.
Ai Servizi Sociali, chiedo un intervento immediato: Eugenio è un ragazzo in serio pericolo ma anche un pericolo per gli altri, perché può essere strumento di violenza, vendetta e morte. Serve un progetto di recupero concreto, serve presenza, ascolto, alternativa.
Alla Chiesa, in particolare a Don Nicola, parroco della zona, rivolgo un appello: usi la parola di Dio, usi il suo ruolo, illumini la mente di questo ragazzo e tocchi il cuore della sua famiglia. La camorra non è pace, non è cultura. È solo distruzione, disperazione, dolore.
Non possiamo restare fermi. Eugenio non è un caso isolato.
È uno dei tanti ragazzini cresciuti nell’assenza dello Stato, nel vuoto delle famiglie, nell’eco tossico di un mito criminale che ancora seduce. Ma noi possiamo, dobbiamo, dire basta.
Genitori, salvate vostro figlio. Don Nicola, parlate con il cuore. Istituzioni, intervenite.
Perché Eugenio ha ancora una possibilità. Perché ogni scugnizzo merita una vita vera, non una condanna a morte anticipata.