C’è un mondo parallelo che si muove silenzioso ma potente, sfacciato e pericolosamente virale: è quello di TikTok, la piattaforma diventata teatro quotidiano di spavalderia criminale, corse clandestine, sfide pericolose, minacce, esibizioni camorristiche e commercio di merce contraffatta. Tutto in bella vista, in rete. E quel che è peggio: nessuno denuncia.
Da mesi monitoriamo questo fenomeno e l’algoritmo ci ha portato a scoprire migliaia di video in cui l’illegalità non solo è ostentata, ma anche premiata con like, commenti entusiasti e condivisioni. Nessun dissenso, nessuna indignazione, solo applausi virtuali, come se si trattasse di performance artistiche. Ma non lo sono. Sono atti criminali. Sono semi di violenza che attecchiscono tra le pieghe più fragili della nostra società.
Non si parla di “semplice goliardia”. Si parla di reati veri. Di auto lanciate a folle velocità in pieno centro urbano, di minorenni alla guida sotto effetto di droga o alcol, di sfide al limite della sopravvivenza. E i danni non sono virtuali: sull’asfalto restano i corpi di innocenti, di chi aveva solo la colpa di trovarsi al posto sbagliato, nel momento sbagliato. A piedi, in bici o alla guida di un’auto.
E mentre tutto questo accade davanti agli occhi di milioni di utenti, nessuno denuncia. Perché?
Perché ci si è arresi all’indifferenza. Perché la cultura del “mi faccio i fatti miei” ha preso il sopravvento. Perché ormai la frase più comune è: “Tanto non cambia nulla”. O peggio: “Che ci importa, a noi non ci toccano”.
Ma la cronaca smentisce. Le pistole che sparano nei video spesso sparano anche nella realtà. I motori che ruggiscono nelle clip rompono vite vere, e i protagonisti di queste esibizioni diventano idoli pericolosi per un’intera generazione.
Noi non ci giriamo dall’altra parte. Facciamo informazione, quella vera. Denunciamo pubblicamente. I nostri articoli, spesso, finiscono nelle mani della magistratura. Non cerchiamo click facili, cerchiamo di svegliare coscienze, di dire che quel video non è “fighissimo”, è criminale. Che quella scena non è “virale”, ma è un reato.
Ripubblichiamo i contenuti, li analizziamo, li smascheriamo. E continueremo a farlo, con nomi, numeri, luoghi, volti. Perché il giornalismo, quello vero, non ha paura. Perché ogni “mi piace” a un reato è un mattoncino in più nel muro dell’illegalità.
Ci chiediamo: dove sono i cittadini onesti? Dove sono le voci che dovrebbero dire “basta”?
Perché non è normale che un ragazzino pubblichi una corsa a 200 all’ora in centro città e riceva centinaia di commenti di approvazione. Non è normale che si esalti chi mostra pistole, droga o scene da “Gomorra”.
Non possiamo restare spettatori. È tempo che chi crede nella legalità, nella sicurezza, nella vita civile, torni a farsi sentire. Non serve essere eroi. Serve essere cittadini.