“Le 137 campane suonate in Piazza Fontana non suonano solo per i morti. Suonano per noi, per un Paese che ha smarrito la verità”.
Con queste parole, Fortunato Zinni, superstite della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, ha toccato il cuore di migliaia di spettatori nella tredicesima puntata della trasmissione “A tu per tu con…”, condotta da Paolo De Chiara su WordNews.it.
In collegamento anche Antonino Schilirò, giornalista e collaboratore della testata.
Il 12 dicembre 1969, una bomba nascosta in una borsa esplose nella sede milanese della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Il bilancio fu drammatico: 17 morti, 88 feriti. Tra i presenti c’era anche Fortunato Zinni, impiegato della banca, sopravvissuto fisicamente, ma segnato per sempre.
Quella strage, ha ricordato Zinni, fu l’inizio della strategia della tensione: un disegno eversivo orchestrato da potenti apparati dello Stato, con la complicità di neofascisti, logge massoniche deviate e servizi segreti nazionali e internazionali.
Zinni ha raccontato, con voce ferma e senza retorica, di come fu incaricato, dieci minuti dopo l’esplosione, dal direttore della filiale, di identificare i corpi straziati per avvisare le famiglie.
“Mi chiese di fare la lista. Nessuno conosceva quegli agricoltori meglio di me. E così, ancora tremando, iniziai a scrivere quei nomi.”
Un trauma collettivo che non si è mai realmente rimarginato, anche perché lo Stato ha preferito insabbiare piuttosto che chiarire.
Uno dei passaggi più forti dell’intervista riguarda la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, defenestrato dalla questura di Milano tre giorni dopo l’attentato. Zinni non ha dubbi: “Fu un omicidio di Stato, non un suicidio, e la verità fu manipolata fin da subito.” Un altro innocente, Pietro Valpreda, fu incarcerato ingiustamente.
Lo stesso Zinni ha raccontato di essere stato spintonato e quasi portato via dalla polizia, proprio poche ore dopo l’attentato, perché “sindacalista e testimone scomodo”. Un segno, dice, del clima di repressione e disinformazione che lo Stato aveva già avviato.
Dopo oltre mezzo secolo, Piazza Fontana resta una strage senza giustizia definitiva.
“Abbiamo ottenuto una verità storica, non una verità giudiziaria. E quando la giustizia non arriva, è il popolo a perdere la fiducia nelle istituzioni.”
Zinni accusa apertamente la Procura di Milano di aver archiviato l’ultimo tentativo di indagine, a differenza delle Procure di Brescia e Bologna, che ancora oggi cercano la verità sui mandanti e i burattinai delle stragi.
Zinni ha denunciato anche l’articolo 31 del Decreto Sicurezza, approvato nel 2024, che estende l’impunità ai servizi segreti persino per la “direzione di movimenti eversivi”. Una norma inquietante, che a suo dire riporta l’Italia nella logica oscura degli anni di piombo.
E poi l’affondo: nessun Presidente della Repubblica – da Saragat a Mattarella – ha mai messo piede in Piazza Fontana nel giorno della commemorazione.
“Vanno ai funerali dei carabinieri, dei giudici, delle vittime della mafia. Ma in Piazza Fontana, in 56 anni, nessuno ha mai posato una corona.”
Zinni oggi ha 85 anni. Eppure gira l’Italia, entra nelle scuole, racconta ai ragazzi cosa è successo. “La memoria non è un esercizio nostalgico. È l’unico antidoto contro il ritorno del fascismo”.
I giovani – racconta – ascoltano in religioso silenzio. E pongono domande scomode: “Perché non studiamo queste cose nei libri di scuola?”
La puntata ha regalato momenti di alta testimonianza civile, di giornalismo impegnato e di profonda indignazione.
Il nostro direttore Paolo De Chiara, in chiusura, ha ricordato con fermezza: “Noi siamo dalla parte delle vittime. Sempre. E non abbiamo nulla contro la Colosimo o chi governa, ma raccontiamo i fatti. E se i fatti fanno male, significa che siamo sulla strada giusta”.
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