Periodicamente, nel Molise, si torna a parlare di sanità pubblica al collasso, come se le cause di questo sfascio fossero misteriose o accidentali. Si punta il dito contro i commissari ad acta, contro il direttore generale dell’ASReM, come se fossero loro gli artefici del disastro. Ma la verità, quella nuda e cruda, è un’altra: i veri colpevoli siedono nei palazzi della politica, sia a livello regionale che nazionale.
Per comprendere la crisi attuale, bisogna tornare indietro al 1978, quando nacque il Servizio Sanitario Nazionale. Una riforma epocale, fondata sul principio di universalità delle cure. Ma già allora, tra le pieghe della legge, i liberali contrari alla sanità pubblica universale fecero inserire la norma sul privato convenzionato: una bomba a orologeria. Da quel momento, il privato ha potuto attingere liberamente ai fondi pubblici, drenando risorse e indebolendo il sistema pubblico.
Nel Molise, questa deriva prese corpo sin dagli anni ’80, quando le tecnologie diagnostiche più avanzate furono affidate a strutture private convenzionate anziché agli ospedali pubblici. I pazienti venivano letteralmente trasportati in massa con ambulanze e pulmini verso queste strutture private. Un sistema soprannominato, con amara ironia, “Alpitour della malattia”.
Ma tutto questo sarebbe potuto accadere senza una precisa volontà politica? Ovviamente no.
Negli anni, la politica ha continuato a scegliere quali servizi attivare, quale personale assumere, quali reparti aprire o chiudere. Tutto in base a logiche clientelari. E se nel pubblico regnava il clientelismo, nel privato si moltiplicavano i convenzionamenti ad personam. Il sistema sanitario molisano è stato progressivamente colonizzato dagli interessi privati e spartito secondo logiche elettorali, con la complicità di tutte le forze politiche.
L’obiettivo non dichiarato ma evidente? Defunzionalizzare il pubblico, depotenziare gli ospedali, rendere insostenibili le prestazioni, creare il bisogno del privato.
E così è stato. Ospedali chiusi o depotenziati, reparti svuotati, fughe di medici e pazienti, fino ad arrivare al punto di non ritorno.
La popolazione molisana è stata gradualmente abituata all’inaccettabile, anestetizzata dal campanilismo e da un clientelismo diffuso. Non c’è mai stata una vera ribellione popolare. Nessun partito, nessun sindacato ha realmente sfidato il sistema. Nessuno ha avuto il coraggio di mettere in discussione il rapporto tra pubblico e privato. Si è preferito girare lo sguardo, accettare un favore in cambio del silenzio.
Ora la rana è bollita, ma bisogna trovare un colpevole da dare in pasto all’opinione pubblica. Ecco l’ammuina: si inscena il teatrino del commissario incompetente, del DG incapace. Ma questi personaggi non sono altro che esecutori di una strategia politica ben precisa, capri espiatori messi lì per prendersi gli insulti e salvare la faccia dei veri responsabili.
I molisani, che per clientelismo, paura o rassegnazione non hanno mai fatto fronte comune contro questo disastro, ora pagano il conto. E lo pagano caro. Per curarsi sono costretti a:
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emigrare in altre regioni (con costi personali e sociali enormi),
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pagare di tasca propria cure che dovrebbero essere garantite gratuitamente,
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oppure, semplicemente, rinunciare a curarsi.
Chi può permetterselo va altrove, chi non può rimane abbandonato a sé stesso. E lo Stato? Lo Stato fa scena muta.
Questa è la fotografia, impietosa ma reale, della sanità molisana oggi. Non è una colpa casuale, ma una responsabilità storica e politica. Un disegno durato decenni, costruito mattone dopo mattone, sulla pelle dei cittadini.
E allora smettiamola di far finta di non sapere. Smettiamola con le ammuine, con i finti sdegni e le indignazioni a comando. Non servono più le lacrime da talk show. Servirebbe una rivoluzione culturale, politica e sociale. Ma, a oggi, nessuno pare davvero volerla.
Stretta è la foglia, larga è la via… dite la vostra, che io ho detto la mia.
Il silenzio dei molisani davanti al collasso della sanità pubblica: una complicità vergognosa