Una sentenza storica, ma la verità resta mutilata. La Cassazione ha messo un punto fermo su uno dei capitoli più oscuri della Repubblica Italiana: è definitiva la condanna all’ergastolo per Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia Nazionale, accusato di concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Una bomba che spezzò 85 vite e ne ferì oltre 200, trasformando una giornata d’estate in un inferno di fumo, vetri e silenzio spezzato da urla.
Ma la bomba – quella vera – non esplose solo nella sala d’aspetto di seconda classe. Esplose anche nei palazzi del potere, nei corridoi dei servizi segreti, nei piani alti di un sistema che per oltre quarant’anni ha insabbiato, deviato, depistato. Ecco perché la Cassazione, nella stessa sentenza, ha confermato anche le condanne per due figure chiave del “dopo bomba”:
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Piergiorgio Segatel, ex capitano dei carabinieri, condannato a sei anni per depistaggio;
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Domenico Catracchia, amministratore di alcuni immobili in via Gradoli a Roma, condannato a quattro anni per false dichiarazioni al PM.
Via Gradoli, già teatro di misteri in serie nella storia repubblicana (dall’affaire Moro agli insediamenti dei servizi), torna a galla anche nel contesto della strage bolognese. Come un nodo mai sciolto, che unisce potere deviato e strategia della tensione.
Tonino Braccia: “La bomba? Non solo fascisti, ma Gladio, servizi e lo Stato”.
Proprio pochi giorni fa, in una trasmissione speciale del format “30 minuti con WordNews.it”, ideato e condotto da Paolo De Chiara con la partecipazione in studio di Antonino Schilirò, Tonino Braccia, sopravvissuto alla strage e testimone scomodo, ha rotto il silenzio. Le sue parole pesano come macigni:
“Non si è trattato di un semplice attentato fascista. Dietro quella bomba c’era Gladio, c’era la CIA, c’era una parte dello Stato italiano. Ci sono i documenti. Io ne ho visti tanti, e li ho denunciati. Ma per anni nessuno ha voluto ascoltare.”
Braccia non è un complottista da social. È un uomo che ha visto, ha sentito, ha parlato. Uno che ha pagato cara la sua ricerca di verità. Le sue dichiarazioni si intrecciano con le recenti sentenze, spingendo lo sguardo oltre le responsabilità individuali, verso quelle strutturali e sistemiche. Verso un sistema criminale dentro le istituzioni.
La sentenza della Cassazione chiude un processo, ma non la storia. Questa condanna – definitiva solo nella forma – non basta a chi cerca giustizia per davvero. Perché non basta un nome, un volto, un ergastolo. Serve la verità intera, quella che non teme nomi eccellenti, quella che non si ferma davanti ai muri di gomma.
E oggi, a 45 anni da quel 2 agosto, le parole di Tonino Braccia suonano come un grido che squarcia l’ipocrisia:
“Paolo Bellini è solo uno dei tanti. Quella bomba l’ha messa uno Stato che ha tradito i suoi cittadini. Ma io non mi fermerò mai.”
E noi con lui.
Perché la memoria senza verità è solo commemorazione.
E l’Italia ha già pianto abbastanza. Ora ha bisogno di sapere tutto.