La storia si ripete. E lo fa con un copione già visto, sporco di mazzette e sigillato con l’asfalto della vergogna. L’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere, ancora una volta, apre il sipario su un giro di tangenti legato agli appalti dell’Autostrada A3 Napoli-Pompei-Salerno.
Cinque le persone indagate per corruzione, turbativa d’asta e falso. Al centro delle indagini c’è un funzionario del Consorzio Stabile Sis, concessionaria della gestione dell’A3, accusato di aver incassato una tangente da 6.500 euro, distribuita in tre tranche. Gli altri quattro indagati sono imprenditori, ritenuti responsabili non solo di aver elargito le somme in cambio degli appalti, ma anche di aver prodotto falsi attestati di formazione per i dipendenti.
Nulla di nuovo sotto il cielo plumbeo degli appalti pubblici italiani, soprattutto quando si parla di autostrade. Per anni, inchieste e sentenze hanno rivelato la mano della camorra nella gestione dei lavori. Materiali scadenti, collaudi truccati, certificazioni false: un cocktail letale che ha portato a cedimenti strutturali, crolli, morti innocenti.
Ma già nel 2011 qualcuno aveva visto tutto. Qualcuno aveva parlato.
Quel qualcuno è Gennaro Ciliberto, ex manager che scelse la strada più impervia: quella della denuncia. Scoprì l’infiltrazione mafiosa negli appalti, segnalò le irregolarità costruttive, documentò le falsificazioni sistemiche delle certificazioni. Una testimonianza scomoda, così precisa e documentata da aprire numerose inchieste antimafia in tutta Italia.
Le sue denunce erano un anticipo tragico di ciò che sarebbe avvenuto anni dopo: il crollo del Ponte Morandi a Genova. Stesse dinamiche, stessi attori, stesso cinismo criminale. Ciliberto aveva già scritto tutto nero su bianco. Ma pochi vollero ascoltare.
A distanza di 14 anni, mentre l’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere conferma che il sistema non è mai cambiato, Ciliberto vive nascosto. Non per scelta, ma per necessità. Sotto protezione, senza diritti, senza pace. Un testimone di giustizia abbandonato dallo Stato che ha giurato di proteggerlo. Un uomo che ha sacrificato la propria vita per la verità e che oggi guarda con sdegno i corrotti liberi di esibirsi su TikTok e in televisione, trasformando il crimine in carriera.
Chi denuncia vive nel buio. Chi ruba vive alla luce dei riflettori.
E lo Stato, in tutto questo, dov’è?
È tempo di riaprire gli occhi. Di smettere di premiare il silenzio e punire il coraggio.
Perché senza verità, senza giustizia e senza memoria, la prossima tragedia è solo una questione di tempo.