Le elezioni regionali in Campania (23-24 novembre 2025) rappresentano un momento cruciale per la governance territoriale: salute pubblica, trasporto, infrastrutture, ambiente, rifiuti, legalità.
La coalizione progressista ha scelto Roberto Fico come candidato presidente, sostenuto da una serie di forze (Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra, civiche varie).
Nell’annunciare la lista, Fico ha sottolineato che si tratta di “nuove energie”, “società civile”, “esponenti che già si spendono per il proprio territorio”.
Eppure, proprio su un tema simbolico e doloroso come quello della Terra dei Fuochi, la rappresentanza politica sembra essersi dissolta.
La “Terra dei Fuochi” — quell’area tra le province di Napoli e Caserta segnata da interramenti di rifiuti tossici, roghi e patologie in aumento — continua ad essere un’emergenza irrisolta.
Nonostante il “Patto per la Terra dei Fuochi” approvato dalla Regione Campania, la percezione diffusa tra i cittadini è che la svolta non sia mai arrivata. I comitati continuano a denunciare, le famiglie continuano a contare i morti, e la politica, spesso, continua a voltarsi altrove.
Acerra, con il suo inceneritore e la sua storia di lotte civiche, resta l’esempio più evidente: qui la ferita ambientale è anche sociale, identitaria, eppure quasi mai al centro del dibattito pubblico nazionale.
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, nei comuni della Terra dei Fuochi l’incidenza dei tumori è superiore del 13% rispetto alla media regionale, con picchi del 20% tra i bambini per alcune patologie oncologiche.
L’ARPAC ha inoltre rilevato che, tra il 2023 e il 2024, sono stati censiti oltre 2.800 roghi illegali di rifiuti, spesso contenenti materiali plastici e scarti industriali, con conseguenze dirette sulla qualità dell’aria e sulle falde acquifere.
Nel presentare la lista “del Presidente”, molti si aspettavano di vedere figure legate ai movimenti ecologisti o ai comitati della Terra dei Fuochi.
Invece, nessun nome di rilievo nel campo ambientalista compare tra i candidati di Fico.
Un’assenza che pesa, soprattutto se si considera che proprio il Movimento 5 Stelle — di cui Fico è stato uno dei volti istituzionali più coerenti — è nato sull’onda delle battaglie per l’ambiente, la legalità e la salute pubblica.
Secondo un’inchiesta di Fanpage.it, diversi attivisti storici come Alessandro Cannavacciuolo (Acerra) e Antonio Marfella (medico oncologo e voce storica del movimento) non sono stati coinvolti nel progetto politico, né come candidati né come consulenti presentandosi, così, altrove.
Le ragioni sembrano molteplici: equilibri interni, scelte di coalizione, la volontà di puntare su profili “nuovi” e civici. Ma il risultato è uno: la questione ambientale, in questa campagna elettorale, non ha un volto, né una voce forte.
Escludere gli ambientalisti da una lista che ambisce a rappresentare il cambiamento non è solo una scelta discutibile: è un errore simbolico.
La Campania non è una regione qualsiasi sul piano ecologico. Qui l’ambiente è salute, legalità, vita quotidiana.
Ignorare chi, per anni, ha dato corpo e voce a queste battaglie significa recidere un legame con quella parte di cittadinanza che più di tutte ha incarnato la richiesta di trasparenza e giustizia ambientale.
Molti attivisti denunciano l’assenza di un programma ambientale chiaro. Non bastano le frasi di rito su “sviluppo sostenibile” e “bonifiche”: servono impegni precisi su inceneritori, monitoraggi sanitari, fondi di risanamento.
E Acerra resta il simbolo della distanza tra le parole e i fatti: un territorio ancora ferito, con malattie oncologiche in aumento e cittadini costretti a convivere con l’odore dei rifiuti bruciati.
Per una coalizione che rivendica il contatto con la “società civile”, la mancanza di rappresentanti della Terra dei Fuochi è un paradosso evidente.
Quelli che un tempo erano i protagonisti delle piazze oggi guardano con disillusione alle urne, convinti che nessuno li rappresenti davvero.
La disaffezione rischia di tradursi in astensionismo o dispersione del voto ecologista, proprio in quei comuni dove il tema ambientale è vissuto ogni giorno sulla pelle.
E mentre i partiti rincorrono slogan, la realtà resta la stessa: le bonifiche procedono a rilento; il Patto per la Terra dei Fuochi resta sulla carta; le indagini epidemiologiche vengono aggiornate ma non risolte e la Corte europea dei diritti dell’uomo ha già condannato l’Italia per la mancata tutela della salute in queste aree.
Non si può parlare di “nuova politica” senza affrontare le vecchie ferite.
Non si può chiedere fiducia se si dimenticano le comunità che per prime hanno denunciato, documentato, resistito.
Se la lista di Fico vuole davvero rappresentare un modello alternativo, dovrà ricucire il dialogo con gli attivisti ambientali, inserire il tema come asse centrale del programma, e non come appendice di facciata.
La Terra dei Fuochi non è una metafora, è una realtà.
E non servono bandiere verdi o hashtag ecologisti per ricordarlo: servono persone competenti, radicate, credibili, capaci di parlare il linguaggio del territorio e non solo quello delle coalizioni.
Le regionali campane sono una grande occasione per ridefinire le priorità politiche del Mezzogiorno.
Ma finché la Terra dei Fuochi resterà fuori dalle liste, resterà anche fuori dai tavoli decisionali.
E allora, la Campania continuerà a essere la terra dei contrasti: dei roghi e delle promesse, delle liste civiche e delle omissioni.
Una terra che chiede voce, ma che troppo spesso viene ascoltata solo quando brucia.





