Il dibattito politico italiano ha visto un nuovo capitolo con l’incontro tra Giorgia Meloni e Carlo Calenda. Un confronto che, almeno nelle intenzioni, rappresenterebbe un segnale di dialogo in un panorama politico sempre più polarizzato anche se la realtà sembra diversa: la politica è ormai un teatro in cui si recita la parte della democrazia mentre le scelte vengono prese lontano dagli occhi dei cittadini. La distanza tra istituzioni e popolo continua a crescere, alimentando un senso di impotenza e disillusione.
L’incontro tra la Presidente del Consiglio ed il leader di Azione è stato presentato come un momento di confronto costruttivo tra maggioranza ed opposizione. Ma in un sistema dove il vero dibattito è quasi inesistente e le decisioni vengono calate dall’alto, simili occasioni sembrano più esercizi di facciata che momenti di reale apertura. La politica appare sempre più come una bolla autoreferenziale distante dai problemi concreti del paese.
Tuttavia, non si può escludere che dietro questo incontro ci sia una precisa strategia. Per Meloni, l’incontro con Calenda rappresenta un’opportunità per mostrarsi aperta al dialogo e rafforzare la sua immagine di leader istituzionale capace di confrontarsi anche con l’opposizione più moderata. Per Calenda, invece, può essere stata una mossa per accreditarsi come interlocutore privilegiato di una parte dell’elettorato deluso sia dalla destra che dalla sinistra, puntando a ritagliarsi uno spazio politico tra i due schieramenti.
Ma qual è il vero obiettivo di questi incontri? Si tratta solo di una mossa comunicativa per rassicurare l’opinione pubblica sulla tenuta delle istituzioni democratiche o c’è un disegno più ampio per ricollocare gli equilibri politici del paese? In un momento in cui la politica sembra sempre più distante dai cittadini, viene da chiedersi se questi confronti servano davvero a costruire un’alternativa o se siano semplicemente parte di un copione già scritto, utile a consolidare il sistema esistente senza reali possibilità di cambiamento.
Uno dei temi affrontati nel colloquio è stato quello della guerra e della sicurezza internazionale, argomenti che preoccupano profondamente gli italiani. Tuttavia, il modo in cui questi temi vengono trattati sembra più un tentativo di alimentare tensioni e timori che di fornire soluzioni concrete. La politica della sicurezza si intreccia con una strategia comunicativa che punta a rafforzare il controllo e a ridurre la capacità critica dell’opinione pubblica. Il risultato è una società sempre più condizionata dalla paura, in cui il cittadino si trova costretto a delegare ogni aspetto della propria sicurezza a un potere che si presenta come unico garante della stabilità.
In questo clima di incertezza si inserisce il recente video diffuso dall’Unione Europea che invita i cittadini a prepararsi a scenari di emergenza con un kit di sopravvivenza. Presentata come una misura di prevenzione, questa iniziativa ha però suscitato inquietudine e interrogativi. Perché diffondere un messaggio simile proprio ora? Quale impatto ha sulla percezione collettiva della sicurezza?
L’idea di un’emergenza imminente, veicolata da iniziative di questo tipo, contribuisce a rafforzare la narrativa della paura. Un popolo spaventato è più facilmente controllabile, più incline ad accettare restrizioni e meno propenso a mettere in discussione le decisioni imposte dall’alto. La sicurezza viene trasformata in un concetto vago spesso utilizzato per giustificare azioni che poco hanno a che fare con la protezione dei cittadini e molto con la gestione del consenso.
La costruzione di un costante stato di emergenza legittima misure che altrimenti sarebbero difficilmente accettabili. E così, mentre si parla di un kit di sopravvivenza da tenere in casa, si tace sulle vere strategie per affrontare le crisi geopolitiche lasciando i cittadini in una perenne condizione di ansia e incertezza.
Mentre il dibattito politico si concentra su strategie elettorali e giochi di potere, gli italiani affrontano problemi sempre più gravi: l’aumento del costo della vita, la precarietà economica, la mancanza di prospettive per il futuro. La politica, però, sembra essersi chiusa in un circuito autoreferenziale, incapace di intercettare le reali esigenze della popolazione.
La conseguenza più grave di questa distanza è la crescente disaffezione. Sempre meno italiani vanno a votare, sempre più persone si sentono estranee al sistema istituzionale. La democrazia si regge sulla partecipazione, ma quando questa viene svuotata di significato, quando il cittadino si sente privo di strumenti reali per incidere, la democrazia stessa diventa una finzione.
Questo allontanamento rischia di diventare irreversibile, con generazioni intere che crescono senza più credere nella possibilità di un cambiamento reale. Se la politica non offre risposte, il rischio è che si affermino sempre più movimenti antisistema, spesso guidati più dalla rabbia che da un progetto concreto. E se il distacco diventa totale, il sistema democratico potrebbe trovarsi esposto a derive pericolose, dove la sfiducia nelle istituzioni si trasforma in rifiuto della democrazia stessa.
Il rischio più grande è che la democrazia si riduca a un rituale senza sostanza, un meccanismo formale che serve solo a legittimare decisioni prese altrove. Non è solo un problema italiano: in tutta Europa cresce la percezione che il potere decisionale sia concentrato in pochi centri, lontani dalla volontà popolare.
Se la politica continua a trattare i cittadini come spettatori passivi, il distacco non potrà che aumentare. La domanda da porsi non è più se gli italiani vogliano ancora comprendere la politica ma se abbiano ancora la possibilità di cambiarla. In un mondo in cui la paura viene strumentalizzata ed il dibattito si riduce ad una messa in scena, l’unica via d’uscita è riappropriarsi della politica. Non attraverso illusioni di dialogo ma con un reale impegno per ridare sostanza a quella che oggi sembra solo una democrazia di facciata.
Ritornare alla partecipazione attiva, all’informazione critica, al confronto reale tra cittadini e istituzioni è l’unica speranza per evitare che la democrazia si dissolva in una semplice procedura burocratica. Serve un risveglio collettivo, una consapevolezza nuova che spinga le persone a riprendere in mano il proprio destino politico. Perché una democrazia esiste solo finché esistono cittadini disposti a difenderla e a reclamarne il senso autentico.