“Io sono un uomo dello Stato. Ma oggi è lo Stato che vuole uccidermi. Per novantamila euro”.
Luigi Coppola non ha dubbi. Non sta solo raccontando un’ingiustizia. Sta denunciando un sistema che punisce chi ha detto la verità. Testimone di giustizia dal 2002, protetto per anni in località segreta, oggi dipendente pubblico, si trova nel mirino del Ministero dell’Interno che – dopo avergli riconosciuto fondi per ricostruirsi una vita – pretende la restituzione di una somma che lui definisce “già giustificata, spesa, autorizzata”.
Una storia che attraversa vent’anni di carte, delibere, audizioni, promesse, e silenzi.
Dal coraggio alla burocrazia: l’inizio del calvario. “Era il 2015 quando tutto è cominciato. Mi chiamano e mi dicono: lei deve restituire 78 mila euro”. Ma il fatto ha radici più profonde. Nel 2007, alla fine della sua permanenza in località protetta, Luigi rientra a Pompei. Lo Stato gli riconosce un contributo straordinario di 90 mila euro per rilanciare la sua attività di vendita auto.
“Non era un regalo. Era un sostegno per ricominciare. Io vendevo auto prima di entrare nel programma. Mi hanno dato quei fondi per tornare a lavorare”.
Inizia a investire. Ma il Comune nega le autorizzazioni. Motivi urbanistici, vincoli paesaggistici, problemi di scarichi. Luigi fa quello che un cittadino onesto dovrebbe fare: informa subito il Ministero, chiede il congelamento della delibera.
E il Ministero accetta.
“Perché io non ho mai nascosto nulla. Ho detto: non posso aprire lì, fermiamoci. Mi hanno risposto: ok, va bene. Ma oggi fanno finta che questa comunicazione non sia mai esistita”.
Le cifre, le carte, la realtà
Tra il 2007 e il 2009 riceve i fondi in tre tranche: 17 mila, 18 mila, e poi 35 mila euro, con una causale “uso diverso”.
“Io ho la copia della delibera. C’è scritto chiaramente: uso diverso. Quindi erano già autorizzati. Non c’era nulla da giustificare. Erano fondi usati secondo indicazione del Ministero”.
A questi si aggiungono 20 mila euro, elargiti più avanti per sanare cartelle contributive maturate durante il periodo di protezione. Totale: 90.000 euro. Tutto documentato.
“Ho le ricevute, le fatture, le comunicazioni ufficiali. Non ho sprecato un euro. Ho solo cercato di lavorare, di vivere. Di essere normale”.
Il danno biologico, e la doccia fredda
Nel 2015, l’INPS riconosce a Luigi un danno biologico. Ma anziché ricevere l’indennizzo, riceve una richiesta di restituzione:
“Mi dicono: tu ci devi 78 mila euro. Perché? Perché secondo loro quei soldi non erano giustificati. Ma erano gli stessi che il Ministero mi aveva concesso. Quindi io ho detto: o sono scemo io, o c’è qualcosa che non va”.
Nel frattempo, il Ministero continua a versargli altri contributi:
18.000 euro per deposito mobilio;
4.750 euro per un intervento chirurgico;
e 6-7 mensilità di affitto.
“E allora dico: ma se davvero io dovevo restituirli, perché mi avete continuato a pagare per dieci anni? Avreste bloccato tutto. Invece no”.
La beffa bancaria e la rabbia civile. Nel 2023 Luigi scopre di essere segnalato come cattivo pagatore. Non può più richiedere una carta di credito.
“Mi presento in banca, mi dicono: lei è iscritto in sofferenza. E da cosa esce fuori? Che era stata la Prefettura a decidere, insieme alla banca, di chiudere il mio conto. Senza dirmi niente”.
Coppola sapeva che la Prefettura aveva interagito con la banca. Quindi non credeva di ritrovare una segnalazione. Anche questo problema lo sta risolvendo da solo. Un’interrogazione parlamentare lo conferma. Ma nessuno rimedia.
La falsa speranza: Napoli, novembre 2024
“Viene il dottor Zupo, un’audizione ufficiale, mi stringe la mano: ‘Signor Coppola, pensi alla salute di sua moglie e alla sua. Al resto pensiamo noi’. Poi silenzio. Silenzio fino a febbraio. Quando mi arriva la comunicazione: devo restituire 78 mila euro”.
Oggi Luigi è ancora in attesa della cartella esattoriale. Ma ha già deciso:
“Se arriva, io mi licenzio. Perché non posso essere uomo dello Stato e allo stesso tempo trattato come un truffatore. Io non sono un mercenario. E non sono in vendita”.
L’appello finale: “Molteni, ti sembra giusto uccidere un testimone di giustizia?”
“Il sottosegretario Molteni gira l’Italia parlando di legalità. E intanto a me “mi uccide” con una cartella da 90 mila euro. Ma vi sembra normale? È questo lo Stato che protegge chi denuncia?”
Il caso Luigi Coppola non è solo una vicenda personale. È una crepa sistemica in quello che dovrebbe essere il rapporto di fiducia tra cittadino e Istituzioni. Chi denuncia la mafia non può poi essere perseguitato dalla burocrazia. Non può vivere con la paura non dei clan, ma delle lettere del Ministero.
“Io sto dalla parte giusta. Ma non voglio morirci”.
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