Ci risiamo. In Italia, anche un diritto costituzionale come il voto può diventare un percorso a ostacoli – soprattutto se ti chiami testimone di giustizia. Ancora una volta, è il Servizio Centrale di Protezione (SCP) – con sede in via dell’Arte 81 a Roma – a partorire l’ennesima circolare farraginosa, che nei fatti limita l’accesso alle urne per chi ha denunciato mafiosi e corrotti.
Sì, proprio loro: quei cittadini coraggiosi che hanno sfidato l’omertà e che, per questo, vivono sotto protezione statale. Eppure, in occasione del referendum dell’8 e 9 giugno, l’SCP si limita a comunicare delle modalità operative che sembrano scritte apposta per scoraggiare – se non impedire – il voto.
Il contenuto della circolare è grottesco: il testimone dovrà raggiungere a proprie spese una “località omissis”, spesso a migliaia di chilometri dalla sede reale di residenza protetta. Dovrà indicare il mezzo con cui viaggerà, segnalare la sua presenza tramite un’utenza telefonica dedicata, e presentarsi da solo, senza alcuna scorta.
Insomma, chi ha fatto incarcerare boss e colletti bianchi deve mettere a rischio la propria vita per esercitare un diritto fondamentale. Ma questa, in Italia, non è più una novità. Lo sanno bene i testimoni, che ogni volta che arriva un’elezione, vivono con l’ansia di un’esposizione pericolosa: la data del voto è nota, il luogo è noto. E chi vuole vendicarsi, lo sa.
Questa assurda procedura equivale, di fatto, a un regalo alle mafie. È come se il sistema dicesse: fateli fuori, tanto non li proteggiamo più. Basta attendere fuori da un seggio. Basta seguire un’auto. Basta trasformare l’agguato in un “incidente”, in un “suicidio”, in una “sparizione”.
E se il quadro vi sembra già grave, c’è di più: la politica ha smesso di occuparsi dei testimoni di giustizia. Il governo Meloni – che più volte ha sconsigliato pubblicamente di andare a votare – è completamente assente su questo fronte. Come lo è il presidente della Commissione Centrale ex art. 10, l’on. Nicola Molteni, che non riceve nessuno, non risponde, non interviene.
L’SCP assorbe oltre 80 milioni di euro l’anno, impiega centinaia di agenti tra polizia, carabinieri e finanza, eppure non garantisce protezione a chi più ne ha bisogno. È un apparato burocratico, ormai imploso, che sembra esistere più per promuovere carriere e stipendi a molte cifre che per tutelare davvero le persone.
Il ruolo del direttore dell’SCP è tra i più ambiti nella pubblica amministrazione. Ma il vero problema è un altro: i testimoni di giustizia sono sempre più soli. Non bastano le minacce mafiose. Ora devono difendersi anche dal “fuoco amico”.
Il risultato? In pochissimi – forse nessuno – andranno a votare. Per paura. Per sfiducia. Per esasperazione. E allora il cerchio si chiude. Il governo non ha ufficialmente negato il diritto di voto, ma ha creato tutte le condizioni per renderlo irraggiungibile.
È questo il prezzo che si paga per aver detto la verità in un Paese dove la verità, spesso, è un pericolo da evitare.
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