Siamo ormai al termine di quest’anno, pochi giorni ancora e un nuovo libro della vita si chiuderà per aprire altre pagine bianche tutte da scrivere. Giornate di festa, soprattutto in famiglia. Ma non per tutti. Ci sono famiglie che avranno una sedia vuota, che non si potranno riunire tutti nei cenoni e nei veglioni. In questi giorni le festività natalizie e del passaggio ad un nuovo anno sono le feste delle “notti magiche”. Ma ci sono persone, umanità, per cui di magico nelle notti non c’è nulla. Oppresse dall’emarginazione, dalla violenza, dal peggio del peggio di questa società sfruttatrice, disumana, cinica. E ci sono notti e feste segnate da vuoti che pesano come macigni, da ferite laceranti che mai potranno guarire. Non sarà festa per chi è sfruttato e incatenato. E non lo sarà piena per chi ha accanto sedie vuote, voci, volti, carezze, abbracci, affetti che vivono nel cuore ma non potranno mai rinnovarsi, mai ripetersi se non nei ricordi. Dolorosi e che vibrano nel profondo del cuore e dell’anima con il peso dell’assenza di chi non c’è più.
È questo un Paese che con la memoria ha un rapporto falso e bugiardo, ipocrita e vacuo. Che imita il pesce rosso, che dimentica il tragitto appena tocca un lato della boccia, fa finta di commuoversi ad ogni occasione per poi – come fosse il passaggio da un canale televisivo all’altro col telecomando – passare oltre come nulla fosse. Uragani e polveroni improvvisi e poi il vento e la polvere si posano e tutto passa. Per poi, nel mare della retorica e delle celebrazioni autoreferenziali, gonfiarsi e coprire tutto sotto fanfare a comando. Ipocrita e complice, oltre ogni sciagura e sventura, appare questo Paese. «Io sono Peppino Impastato», «Giovanni Falcone siamo noi», «Paolo Borsellino cammina sulle nostre gambe», «Noi siamo Pippo Fava», «Rita Atria vive», «Lea Garofalo ci insegna e noi proseguiamo», l’elenco potrebbe essere infinito e sterminato. Il giorno delle cerimonie, il giorno delle commemorazioni, delle lacrime a comando. «Apri il giornale c’è l’ispirazione» cantano I Nomadi da molti anni. Anche senza aprire il giornale, basta alzare la testa e guardarsi intorno e la realtà reale è sotto gli occhi di tutti. E chi non si omologa, chi non si amalgama, chi vive dolori e sofferenze che non sono certo colpa di un destino lontano, chi non tace il resto dell’anno rimane solo di fronte l’ingiustizia, il dolore, la sofferenza, il peso dell’assenza di persone cari, di un distacco traumatico e che scava e scaverà sempre nell’anima e nel cuore.
Sono passati poco più di quattro anni dal lockdown, dai mesi più drammatici della pandemia da covid19. Ma la memoria è stata rimossa, cancellata, quel che accadde in quelle settimane è proibito nell’Italia del 2024 citarlo, parlarne, discuterne, interrogarsi. È la fatwa dei palazzi, della politica politicante, dell’inner circle mediatico e di tutte le loro corti.
La sanità pubblica e la pandemia sono stati dimenticati nella quasi totalità del dibattito pubblico. Non se ne parla più, tutto cancellato da una memoria (strumentalmente ed ancora una volta in questo Paese senza memoria) più corta di quella del pesce rosso in una boccia. Mentre nei palazzi padrini e padroni si trastullano in chiacchiere sceme da finti polli di Renzo il Paese reale, le sue sofferenze e le ingiustizie subite vengono cancellate o al massimo strumentalizzate da pupi e pupari.
L’Italia è un Paese senza memoria, in cui abbondano padrini, zone grigie e zone sporche, in cui tutto sparisce in un attimo. Dominato dall’emozione del momento, dalle grancasse mediatiche a libri paga di qualcuno, dall’arroganza di coloro che più son colpevoli e più gridano istericamente contro le vittime. C’è chi non ha dimenticato, ci sono dolori che non verranno mai superati, cuori che continuano a sanguinare e anime dilaniate per sempre.
Che si interrogano, pongono domande, chiedono giustizia e verità, non si accucciano alle “verità” interessate e strumentali, sono familiari che non vedranno più un loro caro e i cui affetti, amori, calori umani sono stati feriti.
L’associazione #Sereniesempreuniti è nata dall’incontro di queste vite, di questi dolori, di persone che hanno vissuto pienamente quei mesi terribili e tragici. Dall’interrogarsi comune, dal dolore che li ha uniti, dall’umanità che si è incontrata, sono nati i primi esposti e poi l’associazione.
Si disse allora che si doveva rispettare il dolore e la morte, bastava dire mezza parola, porsi mezza domanda e si veniva accusati di sciacallaggio, di offendere i morti.
Oggi, alla luce di quanto emerso e documentato soprattutto dopo quegli esposti e dall’impegno immenso e titanico dell’associazione (da noi raccontato in molte pubblicazioni negli ultimi ventidue mesi), possiamo affermare che non è così. Anzi. E squarcia il velo di tanti “templi” che per certa “politica” il dolore andava “rispettato” quando lo imponevano loro e, invece, può essere attaccato e offeso, sminuito e calpestato quando non segue certe narrazioni.
Quei mesi drammatici di quattro anni, e tutto quello che ne è stato conseguenza, non sono stati “dimenticati” da ectoplasmi ma dagli stessi che ci inondarono di finto patriottismo, da chi scaricò sui cittadini colpe non proprie, da chi imponeva di cantare e rimanere in silenzio mentre si tutelavano le interessi delle lobby e dei grandi padrini.
Tanto bravi a ordinare, fare paternali, scaricare ogni responsabilità sui cittadini mentre iniziarono ad abbandonare anziani, malati, fragili negli ospedali e nelle RSA, a tacere e seminare omertà su quanto accaduto (o meglio non accaduto) a Nembro, Alzano e in tutta la bergamasca. Antonio Gramsci scrisse, un secolo fa, che la Storia insegna ma non ha scolari e che chi non la conosce è destinato a ripeterla. Quasi cinquant’anni fa Pier Paolo Pasolini negli “Scritti Corsari” definì l’Italia un Paese senza memoria e quindi senza storia, che «rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo», «circolare, gattopardesco». Una storia rimossa dalla memoria collettiva, continuamente riscritta in maniera strumentale e comoda a taluni è quanto accadde nell’inverno-primavera 2020, nelle settimane in cui deflagrò la pandemia in Italia. Partì da quella che fu definita la Wuhan d’Occidente, nel cuore della Lombardia. Sereni e sempre uniti – Associazione Familiari Vittime Covid19 la memoria lotta perché rimanga viva, una memoria non fine a sé stessa ma che porti a verità e giustizia su quei mesi.
Comunicato stampa di fine anno dell’associazione Sereniesempreuniti – familiari vittime covid19
Archiviata definitivamente l’inchiesta Covid di Bergamo, i familiari delle vittime: “Non devono pagare i pesci piccoli ma che non paghi nessuno è inaccettabile”
La fine d’anno porta la chiusura totale dell’inchiesta Covid della Procura di Bergamo che si aprì ad aprile 2020 e si concluse e marzo 2022 con 20 indagati: l’ultimo filone è stato archiviato dal Gip Vito di Vita mercoledì 4 dicembre.
Il procedimento riguardava i fatti avvenuti all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano il 23 febbraio 2020, quando si registrarono i primi pazienti positivi della provincia di Bergamo che ben presto diventò il focolaio più drammatico d’Italia. In particolare, il lavoro dei magistrati si era concentrato sulla gestione delle ore immediatamente successive all’individuazione dei primi contagiati, con l’ospedale che venne prima chiuso e poi riaperto, mettendo in luce l’impreparazione e la mancanza di regole nella gestione della situazione emergenziale.
Gli indagati erano quattro: Massimo Giupponi, direttore generale Ats Bergamo; l’allora direttore dell’Asst Bergamo Est (oggi alla guida dell’Asst Papa Giovanni), Francesco Locati; l’allora direttore sanitario dell’Asst Bergamo Est, Roberto Cosentina (adesso in pensione); l’ex direttore medico del Presidio 2 (cioè degli ospedali di Alzano e Gazzaniga), Giuseppe Marzulli, anche lui oggi in pensione.
I reati contestati – a vario titolo – ai soggetti citati erano l’epidemia colposa, le lesioni colpose nei confronti di 33 operatori sanitari del presidio, la morte di un medico e di un impiegato della struttura sanitaria di Alzano, contagiati dal Covid, il falso ideologico per aver comunicato tramite documenti e mail fatti diversi dalla realtà e il rifiuto d’atti di ufficio per non aver adottato tempestivamente misure atte a contenere l’epidemia.
La Procura di Bergamo ha chiesto l’archiviazione del procedimento perché la “riforma Cartabia” ha introdotto una prognosi sull’esito di un eventuale processo: i magistrati devono dunque valutare quale potrebbe verosimilmente essere il giudizio finale del Tribunale, prendendo atto anche dei precedenti. In questo caso, un precedente c’era, ovvero l’archiviazione nell’estate del 2023 degli altri due filoni di indagine che vedevano indagati anche l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro Roberto Speranza.
In quei casi, il Tribunale dei Ministri spiegò che non era configurabile il reato di epidemia colposa per condotte omissive (cioè per non aver fatto qualcosa). Per questo, pur contestando questa valutazione, la Procura di Bergamo s’è vista costretta a chiedere l’archiviazione anche di quest’ultimo filone di indagine. «Non appare ragionevolmente prevedibile la condanna degli indagati», ha scritto la Dott.ssa Maria Cristina Rota, procuratore aggiunto.
Una posizione poi condivisa dal gip Di Vita che però scontenta i familiari delle vittime del Covid dell’Associazione #Sereniesempreuniti.
“Quando ancora non esisteva la nostra Associazione – commentano dal Direttivo – molti di noi, bergamaschi prima ma anche dal altre province poi, ci siamo recati in Procura per depositare le denunce che hanno contribuito ad un’indagine davvero storica. Non avere la possibilità di capire in sede dibattimentale chi dovesse fare cosa è grave e lede, ancora una volta, la memoria dei nostri cari. Tra di noi ci sono diverse persone che hanno perso qualcuno all’ospedale di Alzano Lombardo e neppure le falsità dichiarate sulla sanificazione sono state prese in considerazione. Che non paghino i pesci piccoli è condivisibile ma che non paghi nessuno è inaccettabile. Non ci resta che confidare nella Cedu, la Corte Europea per i diritti dell’Uomo, che ha accolto il ricorso presentato da alcuni di noi”.
“Quelle individuate come persone offese non sono state notiziate né della richiesta di archiviazione né dell’archiviazione stessa – commenta Consuelo Locati, avvocato del team legale de familiari -. Pur condividendo in linea generale quanto disposto dalla Procura, non possiamo accettare che le persone non vengano notiziate e che chi ricopre ruoli apicali di nomina politica non sia imputabile per le violazioni di legge o per eventuali omissioni. Continueremo a chiedere giustizia negli altri procedimenti ancora aperti”.
Una bara sui camion di Bergamo: “Gli italiani si meritano la verità non subdole illazioni”
I familiari mettono il punto anche sulla dichiarazione di Antonio Porto, segretario nazionale del sindacato Organizzazione sindacale autonoma (OSA) di polizia, data il 19 novembre 2024 davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza causata dalla diffusione epidemica del virus SARS-CoV-2. Nello specifico il sindacalista ha posto una domanda, che è stata una vera e propria illazione, che è stata ripresa da tutta la stampa: «perché una bara a camion quando ne potevano andare due, tre? Cosa voleva portare alla popolazione quell’immagine?». Porto, quindi, ha alluse al fatto che ogni camion trasportasse solamente una bara. Lo stesso si è smentito in interviste successive dicendo di aver posto la domanda basandosi sul sentito dire.
“Chi di noi ha vissuto quei momenti concitati – commentano sempre dal Direttivo – e ha avuto i propri cari su quei camion, non può accettare che una persona estranea alla vicenda possa permettersi di ipotizzare una tesi così grave in una sede così importante. Confidiamo che la Commissione, dove anche noi siamo stati auditi con il nostro legale Locati, porti avanti il lavoro in maniera sera come fatto sin d’oggi. Gli italiani si meritano la verità non subdole illazioni”.