La Corte Europea Diritti dell’Uomo, l’organo giurisdizionale volto ad assicurare il rispetto della CEDU da parte degli Stati contraenti, con sentenza emessa il 19 dicembre, ha dato ragione al ricorso presentato dal Grande Oriente d’Italia contro la Repubblica italiana, depositato presso la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Il caso riguarda una perquisizione dei locali del G.O.I. ordinata dalla commissione parlamentare antimafia, quando presidente era Rosy Bindi, e il successivo sequestro di una serie di documenti cartacei e digitali, in particolare un elenco, comprendente nomi e dati personali, di oltre 6.000 membri appartenenti alla Massoneria. Alla Commissione è stato conferito, tra l’altro, il compito di svolgere un’indagine sui rapporti tra mafia e massoneria in ragione di informazioni emerse da procedimenti penali allora in corso presso vari tribunali.
I fatti in ordine temporale
- Il 3 agosto 2016 la Commissione parlamentare d’inchiesta ha ascoltato Stefano Bisi, Gran Maestro del G.O.I., in una “audizione informale” (libera audizione), il che significa che non era gravato da alcun obbligo giuridico particolare. L’audizione riguardava i rapporti tra mafia e massoneria. A Bisi è stato chiesto se fosse disposto a consegnare alla Commissione parlamentare d’inchiesta un elenco dei membri delle logge aderenti all’associazione ricorrente, e ha risposto che ciò non era possibile per motivi di riservatezza.
- Il 4 agosto 2016 il Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta scrisse a Bisi chiedendogli di fornire l’elenco sopra menzionato. Con lettera dell’11 agosto 2016, Bisi rispose di non poter ottemperare alla richiesta. Si basò sulla legge italiana sulla protezione dei dati personali, ma anche sul fatto che la richiesta della Commissione parlamentare antimafia sembrava mirare a una spedizione di pesca, in quanto non menzionava alcuna indagine in corso nei confronti di membri identificati del G.O.I. né specificava alcun particolare reato sospettato.
- Il 19 settembre 2016 il G.O.I. ha chiesto un parere al Garante per la protezione dei dati personali per stabilire se avrebbe violato le norme nazionali sulla protezione dei dati se avesse consegnato un elenco dei suoi membri, comprensivo dei loro nomi e dati personali, come richiesto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta.
- Il 4 ottobre 2016 il Garante nazionale per la protezione dei dati personali, richiamandosi alla sentenza n. 4 del 12 marzo 1983 della Corte di cassazione, ha affermato di non avere competenza sui poteri del Parlamento, incluso il suo potere di istituire o regolamentare commissioni parlamentari d’inchiesta.
- Il 21 dicembre 2016 il Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta ha reiterato la sua richiesta di un elenco dei membri delle logge costituenti il G.O.I.. Tale richiesta era tuttavia limitata agli elenchi dei membri delle logge nelle regioni Calabria e Sicilia, a partire dal 1990, e agli elenchi delle logge nelle altre regioni del Paese, indicando il numero di singoli membri in ciascuna loggia.
- Con lettera del 9 gennaio 2017, Bisi ha nuovamente rifiutato di fornire alla Commissione parlamentare d’inchiesta qualsiasi elenco. Ha osservato che la sua richiesta non aveva fatto alcun riferimento ad alcuna indagine in corso e che la richiesta non era limitata a informazioni su specifici crimini presumibilmente commessi da singoli membri del G.O.I.. Il Gran Maestro ha ritenuto che la richiesta fosse generica e irragionevole e pertanto non potesse essere accolta. Ha sostenuto, in particolare, che ai sensi dell’articolo 82 della Costituzione italiana una commissione parlamentare d’inchiesta aveva gli “stessi poteri e limiti” delle autorità giudiziarie e che, a suo avviso, la Commissione parlamentare d’inchiesta stava, nel caso di specie, eccedendo tali limiti.
La Commissione parlamentare d’inchiesta ha pertanto convocato il Gran Maestro Stefano Bisi come testimone, in modo che fosse tenuto per legge a dire la verità o sarebbe altrimenti stato ritenuto colpevole del reato di falsa testimonianza. Nella seduta del 18 gennaio 2017, Bisi ha nuovamente affermato di non essere in grado di rivelare i nomi dei membri dell’associazione ricorrente, come richiesto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta.
- Il 1° marzo 2017 la Commissione parlamentare d’inchiesta, riunita in seduta riservata, ha ordinato la perquisizione dei locali del G.O.I. e il sequestro di vari documenti cartacei e digitali. La motivazione dell’ordinanza è la seguente:
“Mentre:
- dalle audizioni sin qui svolte e dalla documentazione acquisita emerge il concreto pericolo che Cosa Nostra e la ‘ndrangheta si siano infiltrate nella Massoneria, agevolate dal principio di riservatezza e dai vincoli di obbedienza propri delle associazioni massoniche, e si evidenzia inoltre che, parallelamente ai mutamenti delle associazioni di tipo mafioso, possono realizzarsi intese illecite anche attraverso Logge massoniche i cui membri possono includere esponenti della classe dirigente e uomini d’affari del paese;
- affinché l’inchiesta parlamentare possa essere condotta con successo, è indispensabile che venga reperito con urgenza un elenco nominativo degli iscritti alle logge massoniche, per verificare se tra questi vi siano soggetti legati, a vario titolo, ad associazioni di tipo mafioso e quanti siano;
- in particolare, è necessario acquisire, in via prioritaria, l’elenco delle logge della Sicilia e della Calabria (regioni in cui si sono concentrate le principali indagini penali passate e presenti e dove le logge massoniche contano un numero consistente e crescente di iscritti), nonché i nominativi dei loro membri a partire dal 1990 (periodo cui si riferiscono le più rilevanti notizie sulle infiltrazioni mafiose nella Massoneria).”
L’ordinanza di perquisizione faceva riferimento alle seguenti fonti di informazione:
- udienze dibattimentali svolte dalle Procure della Repubblica di Reggio Calabria, Palermo e Trapani; dichiarazioni testimoniali di Gran Maestri e di altri membri di logge massoniche italiane; documenti acquisiti dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.
La Commissione parlamentare d’inchiesta ha ordinato la perquisizione dei locali del G.O.I., compresi gli annessi e gli arredi, computer e sistemi informatici, anche protetti da misure di sicurezza, al fine di reperire e sequestrare gli elenchi di tutte le categorie di iscritti alle logge della Calabria e della Sicilia, a partire dal 1990, compresi coloro la cui appartenenza alle associazioni o la cui partecipazione attiva alle stesse fosse cessata, con l’indicazione, caso per caso, del loro grado e ruolo, nonché tutta la documentazione relativa alle logge sospese o sciolte della Calabria e della Sicilia, sempre a partire dal 1990, con i nominativi di tutti gli iscritti e i loro fascicoli personali, nonché le informazioni sulle indagini svolte e sulle decisioni assunte.
La Commissione parlamentare d’inchiesta ha quindi ordinato il sequestro dei documenti sopra menzionati, se erano in copia cartacea, e il sequestro dei file informatici di qualsiasi natura che contenessero tali documenti. Questi dovevano essere copiati immediatamente, alla presenza degli interessati, in modo da garantire che fossero una copia conforme all’originale e per evitare alterazioni dei dati originali, e i computer e i file sequestrati dovevano essere restituiti ai legittimi proprietari una volta terminata l’operazione.
La perquisizione è stata condotta dal Servizio centrale per le indagini sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza. Gli ufficiali hanno identificato e sequestrato i documenti di identità del personale presente nei locali dell’associazione ricorrente. La perquisizione ha riguardato tutti i locali dell’associazione ricorrente, compresi gli archivi e la biblioteca, diversi computer e la residenza personale del Gran Maestro. La perquisizione ha portato al sequestro di numerosi documenti cartacei e digitali, tra cui elenchi dei nomi di circa 6.000 persone iscritte presso l’associazione ricorrente, nonché dischi rigidi, pen drive e computer.
Gli oggetti sequestrati sono stati conservati nel rispetto del regime di segretezza previsto dagli articoli 5 e 6 della legge n. 87/2013. La Commissione parlamentare d’inchiesta ha disposto che gli stessi siano conservati “in locali sotto il controllo della polizia giudiziaria incaricata della materia, in modo da impedire accessi informatici diversi da quelli autorizzati nel procedimento tra le parti“, in una stanza dotata di porta blindata, videosorveglianza e allarme.
- Il 1° marzo 2017 un’altra loggia massonica che era stata sottoposta a una perquisizione simile ha presentato domanda al Tribunale distrettuale di Roma per una revisione dell’ordine di perquisizione ai sensi dell’articolo 257 del Codice di procedura penale (CPP). Il tribunale ha respinto la domanda il 16 marzo 2017, osservando che un giudice ordinario non aveva giurisdizione per rivedere alcun atto di una commissione parlamentare d’inchiesta, incluso un ordine di perquisizione.
- Il 16 marzo 2017 il G.O.I. ha chiesto alla Commissione parlamentare d’inchiesta di riesaminare l’ordine di perquisizione secondo le proprie procedure sostenendo che era illegittimo e che era generico e non conteneva alcuna accusa di reati specifici. La Commissione parlamentare d’inchiesta non ha emesso alcuna sentenza sulla richiesta.
In diverse date, elementi selezionati del vasto materiale sequestrato sono stati esaminati dalle autorità nazionali, alla presenza di un rappresentante del G.O.I.. È stato divulgato solo il materiale specificamente menzionato nell’ordine di perquisizione e sequestro e le parti avevano il diritto di essere presenti mentre il materiale veniva selezionato e sequestrato. Tutto ciò che è stato trovato e non era correlato all’oggetto dell’ordine di perquisizione e sequestro è stato distrutto. È stata fatta una copia di tutto il materiale informatico e gli originali sono stati restituiti il 28 marzo 2017.
- Il 31 marzo 2017 il Gran Maestro ha presentato una denuncia penale alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Ha sostenuto che sia l’ordine di perquisizione e sequestro in sé, sia il modo in cui era stato eseguito costituivano reati penali. Sostenendo che vi era stato un abuso dei poteri dello Stato, il G.O.I. ha chiesto al pubblico ministero di presentare ricorso, ai sensi dell’articolo 134 della Costituzione italiana, per una revisione giudiziaria da parte della Corte costituzionale di un abuso di potere tra organi dello Stato (conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato).
- Il 23 ottobre 2017 il Pubblico Ministero ha respinto tale ricorso, compresa la sua richiesta di ricorso per una revisione giurisdizionale di un conflitto di giurisdizione tra i poteri dello Stato, e ha interrotto l’istruzione della denuncia penale dell’associazione ricorrente.
Per quanto riguarda il modo in cui è stato eseguito l’ordine di perquisizione e sequestro nel presente caso, Il pubblico ministero ha osservato, in particolare, che il giudice ordinario non aveva giurisdizione sugli atti di una commissione parlamentare d’inchiesta. Il pubblico ministero ha inoltre osservato che il conflitto di giurisdizione avrebbe potuto essere sollevato presso la Corte costituzionale, ma ha inoltre osservato che le condizioni per richiedere tale revisione non erano state soddisfatte nelle circostanze specifiche del caso, poiché non vi erano procedimenti penali sulle stesse questioni che erano oggetto di indagine da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta e non vi erano quindi funzioni giudiziarie in corso con cui essa potesse interferire. Inoltre, riferendosi alla diversa natura e finalità di una commissione parlamentare d’inchiesta, il pubblico ministero ha inoltre ritenuto che nel caso di specie non potesse essere individuato alcun conflitto di giurisdizione. Per quanto riguarda il modo in cui è stato eseguito l’ordine di perquisizione e sequestro nel presente caso, stata eseguita, il pubblico ministero ha negato che ciò fosse illegittimo.
Per questo il Grande Oriente d’Italia ha fatto ricorso alla CEDU.
Nelle motivazioni della sentenza la CEDU ha fatto riferimento a diversi leggi nazionali, europee, precedenti commissioni, sentenze di Cassazione e Corte di Cassazione.
Per questi motivi:
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