In un Paese che fatica sempre più a guardarsi allo specchio, il concetto di giustizia sta lentamente svanendo sotto il peso delle contraddizioni, dei favoritismi e di una politica che sembra preoccuparsi più di mettere bavagli che di difendere i più deboli. Gli ultimi avvenimenti giudiziari parlano chiaro: siamo di fronte a uno scollamento pericoloso tra istituzioni e cittadini, tra legge e verità, tra giustizia e giustizialismo.
Il caso Zanettin, senatore e relatore del discusso DDL sulle intercettazioni, è emblematico: in un’intervista ha dichiarato che se una donna teme di essere uccisa, “può andare a denunciare e farsi mettere una telecamera in casa”. Dichiarazione agghiacciante, che riduce a un’opzione burocratica la paura concreta, quotidiana, che migliaia di donne vivono in silenzio. Come se bastasse una telecamera a fermare un coltello. Come se il vero problema fosse la lentezza dell’occhio elettronico e non quella, ben più grave, della macchina giudiziaria. L’approvazione alla Camera del DDL che limita la pubblicazione delle intercettazioni, sotto la pretesa bandiera della tutela della privacy, rischia di mettere a tacere le vittime, di indebolire le inchieste e rafforzare chi ha tutto l’interesse a restare nell’ombra.
Nicola Gratteri, uno che con la criminalità ci fa i conti ogni giorno, non ha usato mezzi termini: “Così facendo, non tuteliamo le donne, ma i carnefici”. È un’accusa precisa, pesante, eppure lucida. Perché quando si limita la possibilità di raccontare, indagare, denunciare pubblicamente, si spegne anche l’unica voce che tante volte ha salvato una vita.
La verità è che la tutela alle donne in Italia non esiste più, se mai è esistita davvero. Esiste sulla carta, tra le righe dei proclami, negli spot governativi da due minuti e mezzo in prima serata. Ma poi, nella realtà, una donna minacciata è lasciata sola, a compilare moduli mentre l’orologio della violenza continua a correre. La giustizia arriva, quando arriva, solo dopo. Quando è troppo tardi. Quando i fiori sono già sul marciapiede, quando i talk show discutono del “perché” e nessuno parla del “prima”.
A questo si aggiungono sentenze che lasciano attoniti. Come quella contro Filippo Turetta, condannato sì all’ergastolo per l’omicidio efferato di Giulia Cecchettin, ma senza l’aggravante della crudeltà. Settantacinque coltellate, senza crudeltà. Forse bisogna frequentare un corso prima di essere considerati abbastanza feroci? Forse la violenza non basta, serve un surplus di efferatezza riconosciuto da un algoritmo morale che sfugge alla nostra comprensione? Che segnale stiamo mandando alle famiglie, ai giovani, alle donne che ogni giorno temono di essere le prossime?
E poi c’è il caso di Leonardo La Russa, archiviato. Nonostante le accuse di violenza sessuale, nonostante il clamore, tutto chiuso. Perché? Perché è “figlio di”? Perché in questa Italia a due velocità, chi nasce sotto certe insegne può permettersi un margine d’azione che agli altri è negato? Viene quasi da pensare che, più che un codice penale, a certi livelli conti l’albero genealogico.
Siamo un Paese in cui la giustizia non è cieca, ma miopemente selettiva. Dove i cittadini comuni affrontano processi infiniti e umiliazioni pubbliche, mentre i “figli di” escono dalla porta di servizio, senza neppure una macchia sul curriculum. Dove le donne devono dimostrare di essere state abbastanza picchiate, minacciate, perseguitate prima che qualcuno prenda sul serio la loro richiesta di aiuto. Dove una legge contro le intercettazioni viene presentata come baluardo di civiltà, ma in realtà rischia di diventare un tappeto sotto cui nascondere le brutture del potere.
E allora sì, viene spontaneo chiedersi: che Italia è questa? Un’Italia che si indigna a giorni alterni, che urla sui social e poi tace nei tribunali. Un’Italia che piange le sue vittime, ma dimentica di proteggerle in tempo. Un’Italia in cui la legge non è più lo strumento per cercare giustizia, ma lo scudo dietro cui si rifugiano i privilegiati.
La giustizia non è un lusso per pochi. È un diritto di tutti. Ma finché continueremo ad assistere in silenzio a questo spettacolo indegno, quel diritto resterà un’illusione. E noi, semplici spettatori, ne saremo complici.
Linguaggio e violenza di genere: le parole che feriscono
Le parole non sono mai innocue. Possono accarezzare, raccontare, ferire, umiliare, marginalizzare. In tema di violenza di genere, il...
Femminicidi in Italia: una strage silenziosa che continua nel 2025
Non è emergenza, è sistemico. Nel primo trimestre del 2025, secondo i dati del Ministero dell’Interno, in Italia sono...
I femminicidi di Sara Campanella, Ilaria Sula ed il vuoto che lasciamo ai nostri ragazzi
Ancora una volta, i nomi di Sara Campanella ed Ilaria Sula si aggiungono alla lunga e dolorosa lista di...
Femminicidio e tutela delle vittime: il rischio della nuova normativa sulla giustizia
Nella materia del femminicidio, dopo anni di studio, di rapporti col territorio, di formazione della polizia giudiziaria ad alto...