“Sono andato a fare l’autista giudiziario nelle scorte perché mi piacevano le sirene. Vinco il concorso, vengo assunto e ironia della sorte vengo assegnato al presidente del tribunale, che si chiamava allora Giacomo Spadaro, però non rischiavo nulla. La segretaria poi mi assegna, per punizione, al dottore Falcone. Poi il dottore Falcone dovette andare in Thailandia per delle indagini e il consigliere Chinnici mi chiamò per lavorare con lui”
Inizia così il racconto di Giovanni Paparcuri, descrivendo il suo inizio di carriera come autista giudiziario fino ad arrivare al fianco del consigliere Rocco Chinnici. Tutto questo fino a quel maledetto 29 luglio 1983, quando con una autobomba Giovanni Brusca e Antonino Madonia uccisero il consigliere Rocco Chinnici insieme alla scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta e il portinaio Stefano Li Sacchi. L’unico a rimanere vivo è proprio Giovanni Paparcuri, nonostante le gravi ferite riportate.
Il periodo di convalescenza di Paparcuri è durato circa un anno e mezzo e, successivamente, i giudici Falcone e Borsellino lo vollero a lavorare insieme al loro alla digitalizzazione del maxiprocesso.
Successivamente ha descritto il trattamento che gli è stato riservato dallo Stato e dalla polizia, proprio per la “colpa” di essere rimasto vivo nell’attentato e, come lui, porta gli esempi di Giuseppe Costanza, autista di Giovanni Falcone rimasto vivo nell’attentato di Capaci, e Antonio Vullo, autista di Paolo Borsellino rimasto vivo nell’attentato in via d’Amelio.
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